Si tratta di nomi di luoghi geografici attuali e antichi, appartenenti alle regioni settentrionali (Veneto compreso) e ad alcune centrali (Marche e Toscana). Sono in genere riconducibili agli idiomi celtici che venivano parlati anticamente da popolazioni cisalpine: le lingue (parlate presumibilmente almeno dall’età del Bronzo) attestate per prime a partire dalla fine del VII sec. a.C. da fonti epigrafiche dell’area di Castelletto Ticino-Sesto Calende, e poi, nel VI sec. a.C., nelle iscrizioni ascrivibili alla cultura di Golasecca (appartenuta, secondo V. Kruta, a Celti che si posson ritenere gli antenati di Insubri e Leponzi) e in quelle reperte sulle statue-stele della Lunigiana; le varietà dei Galli transalpini che all’inizio del IV sec. a.C. (e forse anche anteriormente) sarebbero penetrati in Italia (Senoni, Cenomani, Lingoni, Boi); la parlata dei Galli Carni (Gallo-carnico) [P. Piana Agostinetti, A. Morandi (2004): 5, 19; V. Kruta (2000): 687-9].
Del repertorio toponomastico d’origine celtica fanno parte nomi di luogo appartenenti alle diverse categorie toponimiche menzionate in genere in dizionari e studi specifici: poleonimi (nomi di città, paesi e insediamenti minori), idronimi (nomi di corsi d'acqua e sorgenti), limnonimi (nomi di laghi), oronimi (nomi di rilievi montuosi e collinari), coronimi (nomi di regioni).
In tale classificazione, com’è evidente, non è compresa tutta la toponimia, ma una parte cospicua di essa; andrebbero infatti aggiunte e/o create altre categorie particolari: da quelle riguardanti vie (“odonimi”) e pianure e campi (“pedionomi”) a quelle attinenti alle località ove sorgono/sorgevano edifici isolati o singole costruzioni, di carattere privato o pubblico, civile o religioso. I toponimi privi di classificazione si possono comunque includere, almeno in parte, nelle cinque grosse ripartizioni sopra indicate, sulla base di elementi di affinità, ravvicinabilità e anche opposizione, quali realtà naturali / stanziamenti umani, presenza di edifici-presenza di monumenti, luoghi abitati-luoghi frequentati.
I toponimi celtici possono inoltre esser suddivisi in quattro «categorie» o «filoni», volendo usare i termini impiegati da G. B. Pellegrini [cfr., in particolar modo, G. B. Pellegrini (1981): 35-6, 53, 62-3]:
a) toponimi di antica documentazione: attestati da iscrizioni e dagli autori greci e latini, compresi i «geografi tardo-antichi» (ad es., Brescello < Brixellum e Ivrea < Eporedia); sono attribuibili ai Galli o ai Gallo-Romani;
b) toponimi attestati solo dal Medioevo (ad es. Brianza < *Brigantia e Verduno < *Uiro-dunum, *Uero-dunum): possono «risalire ad un’età più antica per vari indizi (topografici, archeologici, ecc.)», e pertanto documentare «stanziamenti preromani» o fondazioni d'epoca romana; sono attribuibili sia ai Galli che ai Gallo-Romani; risalgono ad un’età più antica di quella dei microtoponimi e talvolta possono essersi formati anteriormente ai prediali del terzo filone;
c) toponimi prediali (o fondiari) in -ācum, -āca, -īcum, -īca: nomi di fondi rustici, formati con «tipici suffissi celtici» su antroponimi antichi (ad es., Cadorago (CO) < *Caturacum o *Caturiacum, e Sumirago (VA) < *Solimariacum o *Sameriacum); vanno definiti «gallo-romani», poiché si tratta di un filone che «rimase produttivo non soltanto in epoca romana, ma anche in quella tardo-antica e alto-medievale, costituito da una antroponimia romana (o romanizzata) ed in qualche caso addirittura germanica»; parecchi sono diventati nomi di centri abitati;
d) microtoponimi: «nomi locali derivati da appellativi di origine celtica, spesso già diffusi dal latino o comunque entrati a far parte del comune patrimonio dialettale» – «beccus, betulla, broga, brogilos, brūcus, cumbo, *camminus, cumba, *glasina, *lanca, ligita, nantu, *pettia, *rica, *tamisium, *tegia, verna ecc.», e inoltre ambli e *barros; cfr., ad es., Brolo < *brogilo- e Tezze sul Brenta < *tegia –; non costituiscono prova di fondazioni galliche o di insediamenti «d’epoca celtica» («teoricamente possono risalire anche ad un’epoca recentissima»); sono i più numerosi.
Per definire correttamente il terzo filone, quello dei prediali, risulta fondamentale — o, come si comprenderà leggendo ciò che è scritto nel riquadro colorato sottostante, risultava fondamentale — quanto rilevato più di vent’anni fa da A. L. Prosdocimi [(1988): 406], che evidenziava quanto segue in uno studio monografico sulla lingua venetica.
«Vi è un equivoco che concerne i toponimi in -acum (e -īcum), attualmente -ago, -ak o simili. Si tratta di toponomastica fondiaria derivata dal nome del proprietario; a questo suffisso è appiccicato il valore di ‘gallico’, e così è stato usato da storici per identificare ‘i Celti nel Veneto’ (Bernardi 1976 in “Athenaeum”, pp. 71-82 con cartine): ma non si tratta di toponimi celtici (come nelle cartine del Bernardi) bensì di toponimi romani, derivati per lo più da un nome romano con il suffisso -aco- (anche -īco-), se si vuole di ascendenza celtica, ma entrato nella varietà del latino locale come allotropo di -ano-: e questo è vero non solo per il Veneto ma per la stessa zona francofona dove un Martiniacum > Martigny (Vallese in Svizzera) deriva da un romanissimo Martinius, quale Martiniacum (praedium). A riprova che -aco- anche in zona più specificamente gallica non è propriamente una formante toponimica gallica ma latina (in area gallica) è il fatto che non esiste un solo toponimo in -aco- prima della romanizzazione: Cesare non ne conosce, e i più antichi sono Gesoriacum in Pomponio Mela (III 23) e Chersiacus in Plinio (NH IV 106).
Non solo, ma -aco- è talmente vitale nelle varietà regionali del latino settentrionale, che arriva a formare toponimi con basi germaniche (Pellegrini 1981 ‘Top. Celt.’ p. 59). Dunque toponimi in -ago-, -aga- etc. non sono indice di insediamenti celtici, ma solo di insediamenti denominati da un latino regionale che aveva adottato la formante -aco-.
Il Veneto ha al proposito una caratteristica come ha più volte segnalato G.B. Pellegrini (da ultimo in M. Cortelazzo, Guida ai dialetti veneti III, Padova 1981 pp. 1-34; cfr. 1981 ‘Top. Celt.’ p. 62): sia come formante di toponimi, sia come formante di cognomi veneti (veneziani) arcaici compare un -igo- che potrebbe derivare da -īko- venetico, assunto dal latino locale accanto ad -āco-.»
Diversi nomi di luogo inoltre, si configurano come toponimi fondiari senza suffisso prediale (prediali asuffissati), costituiti cioè dal solo antroponimo (ad es., Carisio dal NP Carisius), o talvolta come idronimi derivati direttamente da un antroponimo piuttosto che formati con elementi nominali di valore descrittivo (ad es., ma senza alcuna certezza, Bedasio dal NP Bedasius e Bobbio dal NP Bovius.
Tale quadro relativo ai prediali viene messo attualmente in discussione da Xavier Delamarre, in un lavoro di recentissima pubblicazione, intitolato Noms de lieux celtiques de l’Europe ancienne (- 500 / + 500). Dictionnaire. Delamarre rileva innanzitutto che tra i toponimi celtici d’Europa se ne individuano pochi di «descrittivi o topografici», mentre la maggior parte di essi comprende denominazioni tratte da nomi di persona, ovverosia di uomini e divinità cui viene attribuita la proprietà dei luoghi, attraverso un cambio di genere dall’animato (NP m. o f.) all’inanimato (toponimo nt.), oppure si riferisce «a un elemento politico, militare, economico, mitico o religioso». I «toponimi personali» sono in effetti numerosissimi, e si possono ripartire in due gruppi: 1) i più antichi: consistono in una «formazione neutra tematica, al singolare (-on, -om) o al plurale (-ā)» dal nome del titolare della proprietà terriera (un «denominativo neutro» da un NP); ad esempio: *Clastidion ‘proprietà di Clastidios’ > Casteggio (PV); Crixiā ‘possedimenti di Crixios’ > Piana Crixia (SV); Solōna ‘possedimenti di Solōn(i)os; Uernā ‘possedimenti di Uern(i)os; Carantion, Carantiā < ‘proprietà di Carant(i)os’; Cambā < ‘possedimenti di Cambos’; Camalon, Camalā ‘proprietà di Camalos’; *Uinda ‘proprietà di Uindos’; 2) i meno antichi: formati «per derivazione aggettivale dal nome del proprietario con l’aiuto di differenti suffissi», vanno perciò suddivisi in dieci categorie: a) derivati in -io- (al pl. -iā), ad es. Solōnion, Uerniā, Uindiā; b) derivati in -āco-, ad es. Solōnācon, Uernācon, Carant(i)ācon, Cambācon, Uindācon; si tratta di toponimi personali di creazione più recente o tarda, formati con un «suffisso aggettivale» che risulta essere «il meglio conosciuto e il più produttivo nelle Gallie», e che si trova unito anche a nomi comuni; c) derivati in -āno-, ad es. Solōniānon, Carantiānon, Camalānon; il suff. -āno- è assente nel celtico insulare, ma è ben presente in quello continentale — anche in formazioni celtiche antiche —, ove si riscontra una notevole intercambiabilità con il suffisso -āco- (cfr. ad es. Carantiānon e Carantiācon); d) derivati in -āvo-, -avo-, ad es. Uernāuon, Cambāuā; e) derivati in -ati-, ad es. Uernate — il «suffisso -ate è la forma neutra di un animato -atis, attestato altrove nell’antroponimia»; appare particolarmente produttivo nella Gallia Cisalpina; f) derivati in -eto-, ad es. Camaleton — il suffisso -eto- «sembra esser stato utilizzato essenzialmente per creare dei derivati da nomi di alberi»; g) derivati in nasale, ad es. Carantonon — diversi toponimi derivati da nomi di divinità sono «formazioni animate in nasale (con nominativo a desinenza latina -ō, gallica -ū)», ad es. Vesontiō ‘la proprietà del (dio) Vesontis’ > Besançon; h) derivati in -Vsco-, ad es. Uernoscon, Camboscon, Camaloscon, Uindāscā — -sco- è un suffisso indeuropeo; è presente «un po’ dappertutto dove i Celti si sono installati e non unicamente nella Liguria storica»; i) derivati in -(o)sso- > *-(o)sth2-o-, ad es. Uernosson — si tratta di un suffisso particolarmente produttivo in Aquitania; l) derivati in -dio-, ad es. Cambodion — -dio- è in realtà un suffisso celtico poco produttivo in toponimia [X. Delamarre (2012): 11, 13 (nota 7), 15-22, 35]. |
In molti casi gli studiosi di toponomastica (spesso rifacendosi al lavoro di Wilhelm Schulze Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlin, Weidmann, 1933 [1904]) hanno definito semplicemente latini antroponimi che oggi, a una più attenta analisi, risultano d’origine celtica. Bisogna qui ricordare, tra l’altro, che i nomi di persona – così come i toponimi – rintracciabili, molte volte in forme diseguali (varianti), nelle iscrizioni antiche e nei «testi della tradizione classica», in genere sono mediati dal latino e dal greco, e quindi hanno spesso un “aspetto” latino o greco dovuto ad alterazioni e a veri e propri adattamenti d’ambito fonetico-grafico e morfologico, apportati da quanti parlavano e scrivevano (ricopiavano) in quelle due lingue. Gli antroponimi sono stati oggetto di una «reinterpretazione sistematica» da parte dei Romani che ha interessato un po’ tutta l’onomastica celtica, compresi i casi di «assonanza», vale a dire di omonimia o quasi-omonimia («nomi celtici di aspetto latino»). L’assonanza ha condotto anche a una «reinterpretazione di parole latine sulla base di un significato indigeno» («nomi latini con significato celtico differente»). Si confrontino, ad esempio, il NP “celtico” Arcanus col lat. arcanus e il NP “celtico” Camelus col lat. camelus [X. Delamarre (2007): 5-6; X. Delamarre (2008): 348].
Ci si aspetta che toponimi localizzabili sul territorio al di qua delle Alpi abitato dai gruppi di antichi Galli sopra menzionati debbano essere riconosciuti come di origine gallica, però sovente nelle spiegazioni etimologiche si preferisce indicare una generica “origine celtica” o appartenenza al “celtico”, con il quale termine talvolta si indica il “celtico comune”, ma spesso soltanto che la voce o base in esame si trovano attestati in qualche altro idioma celtico, specie tra le lingue celtiche insulari. L’uso di “gallico” oppure di “celtico” dipende in effetti da eventuali testimonianze nel gallico o in qualche altra lingua celtica.
Nell’insieme i toponimi di sicura celticità (e con un medio-alto/alto grado di certezza dell’etimologia) sono solo una parte di quelli qui analizzati. In molti casi infatti l’origine celtica risulta incerta; spesso si tratta di una celticità ipotizzata da qualche studioso in opposizione alla quale altri propongono una diversa origine. E più volte, quando c’è accordo sull’appartenenza linguistica e sulla forma del toponimo antico (attestata o ricostruita), risultano differenti le proposte di interpretazione, di individuazione degli elementi costitutivi e del significato da attribuirsi alle componenti morfosintattiche e lessicali, o all’intero nome analizzato. Per diversi toponimi dunque, vanno riportate due e più etimologie (cfr., ad es., Bologna e Vercelli).
Sia per il venetico sia per l’antico “ligure indeuropeo” si deve poi ipotizzare la presenza di termini o basi comuni al gallico (cfr., ad es., Monte Venda e Genova), per cui alcuni toponimi ritenuti generalmente d’origine celtica potrebbero invece esser attribuiti a quelle due lingue antiche – ma anche viceversa, soprattutto nel caso di qualche toponimo definito, solitamente, “ligure”. Gli stessi toponimi “liguri” o “gallo-liguri” nominati nella Tavola di Polcevera (contenente la Sententia Minuciorum del 117 a.C.) e nella Tabula Alimentaria di Veleia (di epoca traianea), per una soddisfacente interpretazione etimologica richiedono, in molti casi, si faccia ricorso ad elementi attestati nelle lingue celtiche [cfr. P. Piana Agostinetti, A. Morandi (2004): 20].
Xavier Delamarre però ritiene che la «toponimia detta ligure» costituisca «uno strato antico di celtico», corrispondente al «primo strato delle invasioni celtiche [nel Nord Ovest d’Italia e nel Sud della Francia], ricoperto in seguito dall’onomastica gallica propriamente detta, e fusa con essa». Ciò sarebbe comprovato anche dal fatto che «la maggior parte dei nomi propri [“liguri”] obbediscono alle regole della fonetica celtica e s’inseriscono nel sistema onomastico [del gruppo linguistico celtico]» [X. Delamarre (2012): 12-3]. |
Inoltre, toponimi che un tempo si ritenevano di origine celtica, oggi vengono piuttosto attribuiti a strati anteriori e definiti pre-celtici o perfino pre-indeuropei. Infatti va ricordato che popoli giunti successivamente ad abitare un territorio spesso hanno conservato idronimi e oronomi usati dalle genti precedentemente insediate – l’idronimia risulta appartenere per lo più allo strato lessicale più remoto, comprendente l’“europeo antico”, che è il «primo strato indeuropeo d’Europa» (cfr., ad es., gli idronimi Avenza e Isarco) [G. B. Pellegrini (1990b): 366-72].
Va precisato infine, che negli etimi dei nomi d’origine latina, i quali nelle lingue romanze continuano in genere le forme latine all’accusativo singolare senza la -m finale (che non era più pronunciata), si dovrebbe indicare appunto la forma accusativa con la -m scritta tra parentesi (come fanno Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli nel D.E.L.I.): per esempio, via dal lat. via(m) e asino dal lat. asinu(m). Un toponimo come Cusago continuerebbe in effetti una forma prediale *Cusiacu(m) (sottinteso praedium o fundum), derivata dall’antroponimo Cusius. Diversi etimologi preferiscono invece indicare il nominativo dando per scontato che si conoscano le fasi evolutive latino-romanze.
Ogni voce è strutturata secondo il seguente schema:
Nome del toponimo (lemma)
Tipo
Comune e/o Provincia o Regione
Informazioni geografiche e/o storiche. Pronuncia o forme locali e/o dialettali
Identificazioni
Attestazioni
• Etimologia, commenti etimologici (2010)
•• Etimologia, commenti etimologici (2012)
Pubblicazioni e indirizzi web consultati-utilizzati.
Le informazioni contenute nelle voci in gran parte sono state tratte dalle opere elencate nella Bibliografia (comprensiva anche di alcuni indirizzi web). Alle bibliografie e note presenti in tali opere si rinvia per le raccolte, i saggi, gli articoli di autori che vengono menzionati in queste pagine ma non sono stati consultati direttamente. Si tratta innanzi tutto dei lavori di Carlo Battisti, Johannes Hubschmid, Dante Olivieri (di cui si posson qui ricordare i suoi Dizionario di toponomastica lombarda, Toponomasica veneta, Dizionario di toponomastica piemontese), Angelico Prati, Giandomenico Serra.
Le spiegazioni etimologiche proposte in questi testi e in quelli riportati in Bibliografia, sono state riviste e integrate ricorrendo prima di tutto ai lavori di Xavier Delamarre (e Alexander Falileyev), disponibili solo da qualche anno.
Sono stati inoltre consultati-utilizzati, tra gli altri, anche le seguenti pubblicazioni e indirizzi web (in genere non citati nelle voci): Atlante d’Italia (T.C.I., ediz. del 1997), Annuario generale dei comuni e delle frazioni d’Italia (T.C.I., 1980), http://www.wikipedia.org/, http://oracle-vm.ku-eichstaett.de:8888/epigr/epigraphik_it (database di iscrizioni latine), http://www.mw-seite.de/tp/tpx.html (per l’Itinerarium Antonini, la Tabula Peutingeriana, la Cosmografia ravennate), http://www.altavallepolcevera.com/storia/storia-della-valle.html (per la Tavola di Polcevera). Diverse forme medievali, e in qualche caso più recenti, di località lombarde sono tratte dall’indirizzo web http://www.lombardiabeniculturali.it/luoghi/ (anche tale fonte quasi sempre non viene indicata).
Fra i dizionari consultati: Francis Favereau (1997): Dictionnaire du breton contemporain, Morlaix, Skol Vreizh [1992]; Léon Fleuriot (1985): A Dictionary of Old Breton. Dictionnaire du Vieux Breton. Historical and Comparative [in due parti: I. Dictionnaire des Gloses en Vieux Breton, di L. Fleuriot (riproduzione dell'edizione del 1964); II. Supplemento, di Cl. Evans e L. Fleuriot], Toronto, Prepcorp; H. Meurig Evans, W. O. Thomas (1989): Y Geiriadur Mawr, Llandybïe, Christopher Davies - Gomer; Niall Ó Dónaill, Thomás de Bhaldraithe (1981): Gearrfhoclóir Gaeilge-Béarla, Baile Átha Cliath, An Roinn Oideachais.
Si ringraziano per la preziosa collaborazione Silvio Cheula, Josef Passler, Adriana Rossetto.
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