Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







giovedì 26 aprile 2012

Sappada/Plodn. Quarta parte


Secondo l’ipotesi etimologica più conosciuta o condivisa [1] (specie dai linguisti), come s’è accennato nella Terza parte, Sappada (comeliano Sapadä, friulano Sapade) — Sapata nel 1295, 1318, 1334; Sapada nel 1308, 1388; Sappada nel 1347, 1392; Sappada e Sapada nel 1296, 1308 — sarebbe invece un toponimo derivato dal dialettale sapàr ‘zappare’: corrisponderebbe all’italiano zappata ‘colpo di zappa; lavoro fatto con la zappa; zappatura veloce’, al veneto sapada, zapa(da) ‘zappata’ [2], al friulano sapàde ‘l’atto di zappare’ (sapâ, zapâ ‘zappare’; cfr. sapà nel 1361, Cividale, e nel 1382, 1385, Udine; sapador nel 1401, 1416, Udine [3]), e alluderebbe a un (buon, o ampio) terreno da zappare [4].
A tal riguardo, H.-D. Pohl precisa: «Il nome Sappada [...] si riconduce al romanzo zappare ‘dissodare (e precisamente con lo zappin, una zappa da boscaiolo con lama ricurva)’ e si riferiva all’inizio alla parte orientale del luogo, situata più in alto, quella che oggi — con forma germanizzata derivata da Sappada — si chiama Zepoden [tsepóudn], in ital. Cima Sappada, dall'ital. Sappada o dal friul. s-/zappada[5] < romanzo zappata “Holzschlag”, nome di terreno dissodato, cfr. l’ital. zappare, il friul. sapá “dissodare”». [6]
«Holzschlag» dovrebbe valere ‘taglio d’alberi’, quindi qui Pohl pare confondere, almeno in parte, le azioni di zappare, sarchiare — sono questi i significati di base del friul. sapâ — e dissodare (usando la zappa), con le attività dei boscaioli che, tagliati/abbattuti gli alberi, usano lo zapìn per sollevare, trascinare, far scendere/scivolare i tronchi [7]. Rimane comunque il fatto che una superficie su cui gli abeti sono stati tagliati/abbattuti (Holzschlag), deve poi esser liberata dalle ceppaie e adeguatamente dissodata (sappada), allo scopo di ricavarne sia uno spazio edificabile sia orti, campi e/o prati.

Sulla possibile derivazione del toponimo «dal friul. s-/zappada», fermo restando che attualmente nel friulano centro-orientale — «il friulano comune, varietà letteraria e ufficiale» [8] — il termine in esame ha la forma sapade, va detto che una tale origine risulta essere verosimile come ipotesi, proprio sulla base delle informazioni storico-linguistiche, sia pur limitate, relative al periodo medievale di fondazione del paese di Sappada.
Nei documenti e nei testi poetici, perlopiù del XIV secolo (specie la seconda metà) e provenienti soprattutto da Cividale e Gemona (ma anche Artegna), i quali contengono le prime testimonianze rilevanti di friulano a noi pervenute, appare una certa qual oscillazione vocalica nella terminazione dei nomi femminili singolari: si incontrano parecchie -a, accanto alle -e e alle -o [9].
Quindi è probabile che in ambito patriarcale, nella sede di Udine, subentrata a quella di Cividale nel 1238, si siano usate, nei documenti di fine XIII e inizi XIV secolo, le varianti Sapata, Sapada e Sappada, adattate almeno in parte al latino cancelleresco, riproducenti da vicino la forma originaria del toponimo, che possiamo a ragione immaginare fosse il corrispettivo duecentesco-trecentesco dell’attuale friul. Sapade. Quindi un Sapada forse già pronunciato con un suono vocalico almeno dagli abitanti della Carnia, in particolare da quelli dell’alto Canale di Gorto, cui si potrebbe attribuire quella denominazione per il pianoro dell’odierna Cima Sappada — a Forni Avoltri si ricorda la forma locale Sapado usata, credo, fino a mezzo secolo fa. A meno che il nome non sia stato dato da qualche rappresentante del patriarca, parlante una varietà di friulano, giunto sul luogo forse per constatarne le effettive condizioni geografico-ambientali. Senza poter del tutto escludere che Sapada sia d’origine comeliana o cadorina.
Va qui sottolineato che spesso non siamo a conoscenza della precisa forma e/o del significato dei termini usati in epoca medievale. E ciò vale anche per la voce sapada e il valore che a questa andrebbe attribuito: improbabili quelli di ‘terreno che un uomo può zappare in un giorno’ e di ‘buon terreno zappativo’, anche perché Sappada deve avere avuto terreni duri da lavorare e tutto fa pensare piuttosto ad un ambito di bosco/terreno dissodato che non di campi/orti zappati (eventualmente di prati di montagna zappati) — come si deduce anche dall’interpretazione di H.-D. Pohl sopra indicata.
Non si sa inoltre se la località Sapada delle origini sia stata chiamata così prima o dopo la zappatura-dissodamento. Forse l’area boschiva pianeggiante di Cima era già stata sfruttata dai Carnielli antecedentemente all’arrivo dei tedeschi; forse furono degli abitanti della Val Degano, innanzi tutto del territorio dell’attuale Forni Avoltri, a tagliare per primi (de)gli alberi lassù, e a battezzare Sapada quel pianoro, da cui, con possibile rotolamento e/o per mezzo di carri, facevano discendere i tronchi [10] lungo la Cleva[11] (tronchi che, almeno in epoca più recente, venivano trasportati per fluitazione lungo il Degano). È pertanto plausibile che la comparsa del toponimo Sapada possa aver preceduto quella di Zepaden/Zepodn, forma che parrebbe da quello esser derivata, e l’attribuzione di Pladen/ Plodn alla zona lungo il corso del Piave.
Il nome di Sappada, dunque, sarebbe stato dato inizialmente al pianoro o all’area su cui sorse l’abitato dell’attuale Cima Sappada - Zepodn. Qui nacque probabilmente il primo insediamento sappadino, sia per la conformazione pianeggiante sia per le relativamente ridotte dimensioni della superficie da (disboscare e) dissodare e poi abitare — da valutarsi approssimativamente, oggi, sui 18-19 ettari di terreno edificato, ma inizialmente di misura inferiore; meno adatta sarebbe risultata quindi una denominazione come Sap(p)ada per il lungo tratto parallelo al Piave —, sia per «la posizione favorevole, dominante la valle e immediatamente allo sbocco della Val Sesis» [12], e al tempo stesso al riparo da eventuali esondazioni del Piave.

Sappada va confrontato con i toponimi La Sapada e Valon de la Sapada, localmente Valón dla Sapàdä, a ovest di Pàdola (Comèlico Superiore, BL), con Sapade (Falcade, BL), nell’Alta Valle del Biois, con l’idronimo Rio Sapè (a NO di San Nicolò di Comelico, BL),con il nome di bosco Sapadìz (Ampezzo, UD) [13].
Guardando la “carta topografica per escursionisti” Dolomiti di Auronzo e del Comelico (foglio 017) della Casa Editrice Tabacco, l’area chiamata La Sapada risulta trovarsi a 1800-1850 m s.l.m., sopra e sul limite del bosco, davanti al Valon de la Sapada, un vallone erosivo sui 2000 e oltre metri di altitudine. Questa Sapada non sembra essere né esser stata un «terreno zappativo».
Nella Carta topografica con toponimi in ladino del Comelico Superiore [14] (sempre edita dalla Tabacco), La Sapada non è indicata, ma a N della sua area si incontrano, oltrepassati i Bùdi dal Pìntär (Buse del Pinter, cioè ‘buche del Pinter’ [15]), i Pras dla Sapàdä (Prati de la Sapada, a E del Còl di Bagni) e più a E i Bùdi dla Sapàdä (Buse de la Sapada), in prossimità dei quali scorre, verso N-O, il Gió dla Sapàdä (Rio de la Sapada). Inoltre, a partire grosso modo dal Lago di Campo è segnata come Str. dla Sapàdä il tratto di una strada (segnavia n. 51) che prosegue fino ai Pras dla Sapàdä.
Nella Toponomastica del Comelico Superiore a cura di Sergio Sacco [16], sono registrati solo due toponimi contenenti il nome Sapàda: Sapàda (o Bus dla Sapàda), «appezzamento di terreno prativo e bosco di abeti a oriente di Col dei Bagni», e Gió dla Sapàda, «affluente di destra del torrente Risena: ha le sorgenti presso Col dei Bagni». Sapàda viene spiegato etimologicamente come «Sapàda < sappata = terreno zappato» e «Sapàda < sappatoria = luogo zappato».
I toponimi racchiudenti il nome Sapàdä sono però quattro (cinque con il Valón dla Sapàdä). Calcolando le dimensioni delle aree in cui compaiono le diciture Pras dla Sapàdä e Bùdi dla Sapàdä, si arriva a un’estensione complessiva di all’incirca 36 ettari. In effetti non si comprende bene quale sia l’ampiezza da attribuire al luogo designato come (La) Sapada, che potrebbe esser stato ben più esteso dell’area occupata dall’abitato di Cima Sappada e ancor di più di quella di Sapade.
Secondo Dino e Gino Zandonella Sarinuto [17], di Dosoledo, i nomi di luogo di cui sopra potrebbero derivare dal toponimo Pras dla Sapàdä, riferito a una zona a prato che probabilmente veniva falciata «una sola volta all’anno» (prati d’alta montagna non concimati). Il significato di ‘zolla erbosa estesa’ attribuito da Francesco Zanderigo Rosolo al termine sapàdä [18] — significato che però non viene confermato da alcun’altra testimonianza [19] —, qualora fosse esatto, potrebbe valere proprio per la zona dei Pras.
Si potrebbe pertanto ipotizzare che (La) Sapada fosse anticamente un’area boschiva relativamente vasta, tra i 12 ettari (estensione approssimativa dell’area dei Pras dla Sapàdä) e i 36 ettari — quindi potesse anche non essere più ampia della zona abitata di Cima Sappada. E che, posta tra i 1500 e i 1750 metri di altitudine, sia stata dissodata con la zappa almeno alcuni secoli fa (forse già nel Medioevo?) [20], per ottenerne soprattutto «prati d’alta montagna» (comeliano pras), utilizzati come prati da fieno, che però in seguito potrebbero esser stati (gradualmente?) abbandonati, specie dopo un peggioramento climatico, e sui quali successivamente il bosco pare aver (ri)preso il sopravvento.
Germano De Martin Topranin, di Padola, ricorda [21] invece che la zona chiamata (La) Sapada, fino alla Prima Guerra Mondiale è stata un pascolo d’alta montagna, che venne abbandonato in seguito all’emigrazione. Nel passato era priva di alberi, perché abbattuti da slavine; in epoca più recente, a causa dei cambiamenti meteo-climatici, si è ricostituita probabilmente una fascia boschiva più in alto, che ha fatto da barriera alle slavine, per cui poi il bosco si è riformato su gran parte dell’area stessa.
Sulla base di tali informazioni, si dovrebbero dunque escludere le ipotesi che la Sapada comeliana secoli fa fosse un’area boschiva successivamente dissodata, e che, perciò, il suo nome derivi dal comeliano sapàdä, da sapà ‘vangare, zappare’ [22], cioè corrisponda a un sapada significante ‘zappata, terreno zappativo’ o ‘terreno dissodato’. Va altrettanto esclusa però una derivazione da un sapà = ‘calpestare’, in riferimento al calpestio dei bovini, che non risulta nell'attuale comeliano (potrebbe essere esistito nel passato?) [23].

Altre utili, se non risolutive, indicazioni e testimonianze mi sono state offerte dagli studiosi Giandomenico Zanderigo Rosolo e Piergiorgio Cesco Frare attraverso comunicazioni scritte personali.
A parere di G. Zanderigo, dei sei toponimi menzionati sopra racchiudenti il nome Sapàdä sono però solo tre quelli più attendibili, in quanto d’origine locale più antica e non ascrivibili ad esigenze cartografiche: La Sapàde, Pras dla Sapàde, Bus dla Sapàde. Si tratta complessivamente di un’area ripartita tra la Regola di Casamazzagno e il Comune di Calalzo (a questo appartengono i Pras dla Sapàde). Stando alla testimonianza di un calaltino, riferitami da Piergiorgio Cesco Frare, La Sàpada, localizzata «prima del Còl di Bàgni e dopo I Peronàt», era una «prenderéta», vale a dire un ‘piccolo pascolo giornaliero’.
Come mi è stato segnalato dallo stesso P. Cesco Frare, si chiama Ra Sapàda un tratto della strada fra Pocol e Passo Giau, nei pressi del Ru de ra Vèrjines (affluente del Rio Costeana). La denominazione Sapàda non avrebbe nulla a che vedere con lo zappare, inteso come ‘lavorare il terreno con la zappa’, bensì sarebbe da collegare al fatto che quel «tratto di strada è soggetto a frequenti franamenti da monte» (Illuminato De Zanna, Camillo Berti, Monti boschi e pascoli ampezzani nei nomi originali, Cooperativa di Consumo di Cortina, 1983, p. 164), o che in quel tratto «il terreno è smosso da acque affioranti dal vicino Ru de ra Vèrjines» (Lorenza Russo, Pallidi nomi di monti, 1994, p. 98). Quindi la voce sapada, in contesti ambientali alpini come quelli in esame, potrebbe riferirsi a una superficie franosa o smossa da acque o a un’area boschiva colpita da slavine, frane o anche venti impetuosi, con probabile allusione al suolo sconvolto, devastato, coperto di alberi abbattuti, ridotto quasi come un campo zappato.
Tale interpretazione pare vada bene per la Sapade comeliana, ma forse meno per il pianoro di Cima Sappada; però si può anche immaginare che, prima dell'arrivo degli antenati dei Sappadini, un qualche evento distruttivo sia potuto accadere.

Secondo G. B. Pellegrini, nel toponimo Sappade (Falcade) — attestazioni medievali: Sapado (1358), de Sappadis (1453) — si può forse ravvisare proprio un’allusione ad un ‘terreno zappativo’ [24] oppure una voce sapada ‘pezzo di terra che si zappa in un giorno’ [25]. A mia conoscenza però, non è documentata alcuna voce mediolatina *sap(p)ata con il valore di ‘superficie che si può zappare in una giornata’ o simile, corrispondente a quello di ‘superficie che si può falciare in una giornata’ attribuito al lat. medievale falcata (per G. B. Pellegrini potrebbe anche essere un neutro pl. designante un ‘ampio terreno falciativo’), da falcare ‘falciare’, da cui deriverebbe il toponimo Falcade (BL), localmente falčade, attestato: cum monte de Falcata [...] cum decimis ipsius montis Falcate (1185) [26].
La pronuncia locale Sopade (cfr. il blasone popolare «Volpàt Sopàde volponi da Sappade» [27]) fa pensare anche a una derivazione dal dial. sopa ‘zolla di terra’ [28]. Mi risulta però che attualmente a Falcade le voci corrispettive di zappa, zappata, zolla siano zapa, zapada, zopa, con l’affricata alveolare sorda iniziale (ts-). Inoltre la -a- pretonica delle attestazioni Sapado e Sappadis dovrebbe essere etimologica, mentre la chiusura in -o- sarebbe fenomeno più recente, come in altri casi di toponimi ladini.
Per la terminazione, Sappade si può confrontare anche con alcuni toponimi in -ade dell’Agordino: Brostolade (Falcade), Listolade (Taibon) — «ant. Ustoladis, Ustolatae» —, Cancellade (La Valle di Agordo) [29], e altresì con Roncà (VR) e Roncade (TV), rispettivamente dal lat. medievale (terra) runcāta ‘(terra) disboscata’ e (terrae) runcātae ‘(terre) disboscate’ [30].

Zappa viene ricondotto al latino medievale sappa, attestato in questa forma già nell’VIII secolo, nelle Glosse di Cassel [31], e poi anche nelle varianti sapa, zappa, zapa, sappis, e nel derivato sappare ‘lavorare la terra con la zappa’ [32].
Sull’origine di sappa sono state formulate varie ipotesi etimologiche:
a) da sapp-, rumore della zappa che colpisce il terreno;
b) da una voce illirica con z- iniziale e significante ‘caprone’, «per analogia di forma tra le due corna dell’animale e le due lame dello strumento» — ipotesi formulata da G. Rohlfs, da ritenersi priva di fondamento storico [33];
c) da zappo ‘caprone’ (attestato zappus nel 1366), di origine sconosciuta (G. Bertoni), o «dal grido di richiamo ciap-ciap» (G. Rohlfs e J. Hubschmid);
d) da una voce «mediterranea» (G. Devoto);
e) da un’antica radice *tsapp- ‘battere (la terra), zappare’ (J. Hubschmid) [34].

Secondo Mario Alinei invece, il latino popolare sappa [35] non avrebbe «nulla a che fare con il latino medievale (1366) zappus ‘caprone’, di origine sconosciuta», né con le altre voci sopra elencate. Trarrebbe invece origine da «un continuatore alto-italiano del lat. cippus», ‘ceppo’ (dell’albero), o meglio, da un femminile, non attestato in latino, *cippa, presupposto dalla forma ceppa, presente in vari dialetti, specie settentrionali (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, Toscana) [36].
Ceppa, nell’Italia settentrionale, avrebbe subito tre mutamenti fonetici: «(1) il passaggio della c- velare iniziale alla sibilante /s/; (2) lo scempiamento della doppia -pp-, generale a nord della linea La Spezia-Rimini; (3) l’abbassamento di /e/ neolatino tonico in posizione ad /a/, diffuso in una vasta area settentrionale e in Vegliotto». Si sarebbe dunque arrivati alla forma sapa ‘ceppo d’albero’.
Sul piano semantico, «il passaggio dall’iconimo {ceppo} a ‘zappa’» [37] si spiegherebbe col fatto che la zappa «risale, in ultima analisi, al “bastone da scavo”», ottenuto in genere dalla radice di un albero, e «ricordando poi che ‘ceppo’ e ‘radice’ dell’albero sono nozioni contigue»: cfr. il «tipo cioc(c)a ‘ceppo’», usato nell’Italia settentrionale anche con il valore di ‘zappa’ accanto al tipo sappa.
Il significato di ‘ceppo’ risulta molto antico, come è provato dalle voci celtiche e germaniche significanti ‘tronco, ceppo’: br. kef, cimr. cyff, ted. Kippe, Kipfe, medio ned. kep (‘Fussklotz’), a. basso ted. kip, svizzero ted. Tscheppach, e dal toponimo Ceppetum, probabile collettivo di cippus (cfr. «FEW s.v. 694»). E così pure è antico «lo stesso tipo sappa ‘zappa’», come dimostrano le attestazioni nelle varietà tedesche (stir. zappe, tirol. zappin, ecc.), nel Rumeno e nelle lingue slave (cfr. «FEW 211 e nota 2»).
Inoltre, «il fatto che in Francia la voce sappa ‘zappa’ “sia originaria in francoprovenzale e in una zona ad esso adiacente”, e che “da lì si sia molto poco estesa in ulteriori dialetti” [cfr. FEW 212], conferma che il focolaio dell’innovazione è la Val Padana, e orienta verso un’attribuzione di questa innovazione alla cultura Chassey-Lagozza-Cortaillod» [38].

M. Alinei sostiene così che Sappada non derivi «da sapa ‘zappa’ e sapar ‘zappare’», bensì da Ceppetum, collettivo in -etum di *cippa > ceppa > sappa ‘ceppo d’albero’, però non spiega l’evoluzione -etum > -ada.
In effetti sarebbe forse più opportuno partire da un collettivo lat. ceppeta — con prima e pretonica (da lat. ĭ) e seconda e tonica (lat. ē) —, cui si posson far risalire alcuni toponimi del centro-nord: Ceppeta (Genazzano, RM; Velletri, RM); rio Ceppeta (PO); torrente Ceppeta (Cantagallo, PO); Ceppeda (cascina, nel comune di Ossago Lodigiano, LO); Ceppatella (Polinago, MO) — cfr. ceppata, dim. ceppatella ‘ceppaia; bosco tenuto a ceppaia’.
Da ceppetum (‘insieme di ceppi d’albero, ceppaia, bosco tenuto a ceppaia’) potrebbero derivare: Ceppeto (Sesto Fiorentino, FI), Ceppato (Casciana Terme, PI), mentre, secondo G. B. Pellegrini, i toponimi Cepéto (Villa a Roggio Pescaglia; Toringo Capannori LU), Cipeto (Pieve a Maiano, Civitella di Chiana AR), Cipito (Castelnuovo Berard. SI) dovrebbero continuare un coll. cepetum ‘cipolleto’ < caepa, cepa ‘cipolla’ [39].
In tutti questi toponimi si riconosce in effetti la base cepp- di ceppo, ceppa (o cep- di cepa), ma non c’è traccia dell’abbassamento /e/ > /a/ e dell’assibilazione che la voce ceppa avrebbe subito nell’Italia settentrionale.

È possibile inoltre un confronto con toponimi francesi [40]:
Cepet (H. Garonne), Sepet 1428 < lat. cippus ‘palo’ o ‘tronco d’albero’ + -etum = ‘insieme di ceppi d’albero’;
Cépoix (Oise), Cepeium 1165 < lat. cippus ‘palo, ceppo’ + -etum (da cui in francese -ei, -oi, -oy, -ay) ‘idem’ [41];
Cépoy (Loiret), de Cepeto 1184, de Cepeio 1210, ‘idem’;
Spay (Sarthe), Cipidus 596, ‘idem’;
Spoy (Aube), Cypetum 654, ‘idem’;
Spoy (Côte d’Or), Cypetus 630, Cepoy 1276, ‘idem’;
Lacépède (Lot. et G.) < lat. cippus ‘palo, tronco d’albero’ + -eta = ‘insieme di ceppi d’albero’.
Stando poi al Dictionnaire étymologique des noms de lieux en France (1978) e al Dictionnaire étymologique des noms de rivières et de montagnes en France (1982) [42], non paiono rappresentati in Francia né il tipo “sap(p)ata” né quello “falcātu”, per i quali d’altra parte G. B. Pellegrini, in Toponomastica italiana (1990), registra soltanto Sappada (però limitatamente all’origine del toponimo tedesco Bladen) e Falcade [43].

Va infine segnalato che Gerhard Rohlfs riconosce in Sappada, nel bergamasco antico salesada ‘salceto’, e in altri nomi analoghi (tra cui un friulano Pinada che Il Nuovo Pirona non riporta), un suffisso -ata con lo stesso valore del collettivo -eta [44] — potrebbe esser questa la spiegazione del suffisso locale -ada sviluppatosi dal collettivo -eta, che, come s’è notato poco sopra, Alinei aveva tralasciato. Se però l’etimo di salesada è lampante, nel caso di Sappada lo studioso tedesco avrebbe dovuto precisarne il significato, perché se la base sap(p)- si riferisse a una pianta, Sappada si potrebbe interpretare come *sap(p)ata = *sap(p)eta, ‘bosco d’abeti’, dal gall. *sapo- ‘abete’, il che potrebbe andar bene in Francia, in Piemonte o in Valle d’Aosta, ma è inverosimile nel Veneto [45] o in Friuli. Rohlfs non pensava certo a un ‘terreno piantato a zappe’!

L’ipotesi etimologica proposta da Alinei sembrerebbe, a una prima lettura, più o meno altrettanto convincente di quella che fa ricorso alle voci dialettali (specie friulane, cadorine, comeliane) sapàr, sapà, sapada. Anche perché, con i valori attribuiti a ceppeta, vale a dire ‘insieme di ceppi d’albero, ceppaia, bosco tenuto a ceppaia’ non siamo poi tanto lontani dal contesto del ‘dissodamento’, del ‘dissodare con la zappa’, cui potrebbero appartenere anche quei termini.
Dino e Gino Zandonella Sarinuto tenderebbero però ad escludere, nel caso di Sapàdä, la possibilità di un “bosco tenuto a ceppaia”, e perché non ne hanno mai sentito parlare e perché non credono che quel «sistema di governo del bosco sia mai stato applicato a quella altitudine» [46]. Anche per ciò, dunque, risulterebbe preferibile per ceppeta il significato di ‘insieme di ceppi d’albero’: proprio davanti a numerosi ceppi potrebbero essersi trovati gli stessi antenati dei Sappadini pervenuti sul pianoro di Cima nel lontano Medioevo, in un luogo chiamato “Sapada” dagli abitanti della Val Degano.

C’è tuttavia da notare che la spiegazione etimologica fornita da Alinei, che concerne sappa più che non Sappada, risulta priva delle necessarie datazioni riguardanti i singoli cambiamenti fonetici, soprattutto l’abbassamento /e/ > /a/ e l’assibilazione. Stando alla prima attestazione di sappa (VIII secolo), le tre mutazioni — alle quali si può aggiungere anche la lenizione della -t- intervocalica di *ceppeta — dovrebbero comunque risalire ad un’epoca ben antica, forse in qualche caso più antica di quanto immaginato da alcuni studiosi [47]. Si potrebbe perciò ipotizzare che una voce sappada, se derivata da *ceppeta, fosse già in uso ai tempi di Carlo Magno (se non prima), e abbia assunto la forma degeminata in età successiva, cioè ben prima della colonizzazione tedesca della conca di Sappada collocabile nell’XI-XII secolo — quindi, per spiegare la genesi di *Zepaden, da cui Zepod(e)n, anche in questo caso si dovrebbe partire da una forma quale Sapada.
Le tre mutazioni però vengono da Alinei attribuite indistintamente alle parlate dell’Italia Settentrionale, ove tuttavia la forma ceppa non compare in ogni regione, tant’è che non ne viene indicata la presenza né in Veneto né in Friuli Venezia Giulia. Per ‘ceppo’, in Comelico Superiore, Cadore e Friuli (come in genere nel resto del Veneto e in Trentino) si trova infatti il tipo cioca, rappresentato da voci quali, rispettivamente: zucu, ẑòcia e ẑòka, ćǫ́kǫ e zoc; al contrario, stando alla carta 536 dell’AIS, in più aree di Piemonte, Liguria, Ticino, Lombardia ed Emilia sono rappresentati i tipi ceppo, ceppa con assibilazione iniziale, con forme più numerose in Piemonte, ove si incontrano in varie località anche le varianti sapa, sappa, che invece nelle altre regioni risultano rilevate solo in alcuni luoghi..
Alinei in effetti si limita a ricondurre il toponimo ufficiale Sappada a Ceppetum attraverso «la variante sappa», senza prendere in considerazione le attestazioni medievali e le forme locali e cercare almeno di capire a quale parlata vadano ascritte, come se quell’etimo potesse andar bene per ogni eventuale località settentrionale denominata Sappada.
La spiegazione di Alinei si rivela dunque carente sul piano storico-fonetico, quindi, in ultima analisi, un’alternativa non del tutto valida. Restiamo pertanto in attesa che intorno ad essa, a dodici anni dalla prima presentazione, qualche linguista competente in materia esprima un suo parere.

Nel frattempo, si può azzardare una conclusione, per quanto provvisoria.
La presenza dell’articolo nel toponimo comeliano La Sapade — suggerisce G. Zanderigo — farebbe pensare a un nome che «in tempi non molto remoti» fosse ancora trasparente. Orbene, se è assente dai vocabolari della lingua italiana un nome comune ceppeto o ceppeta, che plausibilmente appare in alcuni toponimi soprattutto del Centro, e se una forma come *sapada ‘ceppeta’ (o *sapado ‘ceppeto’) non si è conservata, in montagna, in aree linguisticamente periferiche, là dove abbiamo toponimi come La Sapada, Ra Sapada e Sapade, allora due sono le possibilità:
1) ceppeto, ceppeta e simili sono sempre stati soltanto appellativi d’uso locale, di cui però non conosciamo attestazioni (cfr. invece il ticinese ęra šẹpā́da ‘luogo pieno di ceppi’, riportato nell’AIS, con suff. -ada probabilmente da -ata), da cui discenderebbero gli stessi toponimi; l’appellativo alpino *sapada ‘ceppeta’ (da cepeta < ceppeta) — della cui esistenza si può dubitare per i motivi sopra esposti — sarebbe scomparso dall’uso comune perché omonimo di sapada, participio femminile, anche sostantivato, di sapâ, sapà ‘zappare’, ma si sarebbe conservato in alcuni pochi toponimi;
2) La Sapada, Ra Sapada, Sapade e Sappada potrebbero riflettere più probabilmente un sapada ‘zappata, lavorata con la zappa’, participio il cui significato primo è quello di base di zappare, sapà, sapâ, ma al quale, usato anche in forma sostantivata (con o senza articolo) e in diversi contesti (storico-ambientali), si possono poi attribuire delle accezioni particolari, riconoscibili almeno in parte nei nostri quattro toponimi alto-bellunesi: da ‘(terra) smossa, asportata o scavata (usando la zappa)’ a ‘(superficie) dissodata (con la zappa)’, ad ‘(area) alterata o devastata da fenomeni naturali (similmente a un terreno zappato)’ [48].



[1] C. Malaguti (2001: 39) invece, fa derivare Sappada «verosimilmente» — in realtà piuttosto “inverosimilmente” — «da zum Plavis ovvero zum Plodn (lungo il Piave)», per cui Sappada, Plavis e Plodn avrebbero «essenzialmente la stessa origine e sostanzialmente lo stesso significato».

[2] G. Turato, D. Durante 1989, s. vv.

[3] Cfr. http://www.dizionariofriulano.it/.

[4] A. Angelini, E. Cason 1992: 29.

[5] M. Hornung (1995: 547) riteneva Sappada — trascritto come ssappáada — derivato proprio dal friul. zappada, sapade, con i valori di ‘zappata’ e ‘tagliata’ (= Holzschlag).

[6] H.-D. Pohl 2002: 39-40; H.-D. Pohl 2010: 2. Il nome sappadino di Cima viene scritto Zepodn, mai Zepoudn. Escludendo una svista da parte del professor Pohl che, come si è visto, si rifà ai lavori di Maria Hornung, si può ipotizzare che la trascrizione fonetica [tsepóudn] sopra riportata corrisponda effettivamente ad una forma udita da lui in loco. Vi è infatti oggi a Sappada chi pronuncia così Zepodn.
Anche per A. Leidlmair il nome Sappada sarebbe un «Rodungsname» (Rodung = ‘dissodamento’, ‘terreno dissodato’), facendo «riferimento al “luogo da dissodare”» (A. Leidlmair 2002: 21, nota 10).

[7] Cfr. A. Draxl 2002: 124.

[8] M. Leporcaro 2009: 108.

[9] Cfr. R. Pellegrini 1994: 241-52.
La -o risulta «costante nel Cividalese», «Gemona oscilla tra -o e -a», «nell’Udinese prevale -a fin al sec. XIV per cedere poi il posto ad -e che si diffuse alla massima parte del Friuli» (G. B. Pellegrini, A. Stussi 1976: 442).
La finale -o dal ’400 si ritroverà solo nel Friuli occidentale e in Carnia, ove si incontrano le parlate più conservative, come quelle di Forni Avoltri e Rigolato, nella Val Degano. Un esempio, tratto dallo Sprach- und Sachatlas Italiens und del SüdschweizAtlante Italo-Svizzero (AIS): nella varietà carnica di Forni Avoltri, corrisponde all’it. la zappa la forma la sapǫ. (l’AIS è scaricabile all’indirizzo web http://www3.pd.istc.cnr.it/navigais).

[10] Cfr. A. Peratoner 2002: 150.

[11] La cleve di Sapade, menzionata in G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 161; in sappadino: de Laite.

[12] A. Peratoner 2009b: 25. La spiegazione sull’ubicazione del «primo insediamento» sappadino è ripresa, in buona sostanza, da A. Peratoner 2002: 56.

[13] L’idronimo Rio Sapè mi è stato segnalato da Giandomenico Zanderigo Rosolo.
Sapadìz è registrato ne Il Nuovo Pirona (cfr. G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 927, 1515). Il bosco (chiamato localmente Sapadìč) si trova a sud-ovest del centro di Ampezzo, oltre il torrente Teria. Il toponimo, al quale, stando a Il Nuovo Pirona, non pare corrisponda alcun nome comune, si può forse confrontare con altri nomi in -ìz, ad esempio rassadìz ‘raschiaticcio, raschiature’ (G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 853).

[14] A cura del Gruppo Ricerche Culturali di Comelico Superiore.

[15] Dovrebbe trattarsi di un padulìn il cui cognome era De Martin Pinter (comunicazione personale di Dino e Gino Zandonella Sarinuto).

[16] http://www.comelicocultura.it/1440x0900/Italiano/Storia/Toponomastica/com_superiore1.htm.

[17] Comunicazione personale, nella quale gli Zandonella Sarinuto mi segnalano anche la presenza, poco lontano dai Pras dla Sapàdä, di un luogo chiamato Ciuẑinèrä, «un luogo dove c’era una fornace che riduceva le pietre calcaree in calce viva». Può darsi che la denominazione Sapàdä dipenda anche dal fatto che il suolo, nei pressi della fornace e più in là (quindi anche ai Pras dla Sapàdä), un tempo veniva zappato per procurarsi tali pietre da calce.
Cfr. anche «Ciuzinèra [localmente: Ciuẑinèrä]. Calcinera. Appezzamento di terreno falciativo ad occidente di Dosoledo, con fornace per la calce», in http://www.comelicocultura.it/1440x0900/Italiano/Storia/Toponomastica/com_superiore1.htm.

[18] F. Zanderigo Rosolo, Passeggiate ladine, Belluno, 1985, Tipografia Piave, p. 132.

[19] Ne Il Ladino del Comelico Superiore, sapàdä è «riproposto con un punto interrogativo e come arcaico» (comunicazione personale degli autori): «sapàdä f. arc., zolla erbosa estesa(?)». Tale voce va comunque confrontata con «zópä f., zolla erbosa» (con ), e inoltre con sàpä ‘zappa’ e zapìn (con ẑ-) ‘zappino (da boscaiolo)’; cfr. G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 344, 346, 215, 259.

[20] In Francesco Zanderigo Rosolo, Passeggiate ladine, cit., p. 143, « troviamo che il toponimo “Pras dla Sapàdä” è stato menzionato in un documento riguardante una confinazione nel lontano 6 ottobre 1628» (comunicazione personale di D. e G. Zandonella Sarinuto).

[21] Si tratta di notizie raccolte qualche settimana fa, durante una conversazione.

[22] G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 215.

[23] Nel comeliano — come mi è stato confermato personalmente da D. e G. Zandonella —, per indicare il calpestare un prato da parte di bovini, si usano i seguenti verbi: zanpaié, zanbaié: calpestare (l’erba nei prati, ecc.), strapazà: calpestare l’erba, e zapà: pestare coi piedi, lasciare impronte (G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 346, 429, 473).

[24] Cfr. A. Angelini, E. Cason 1992: 18.

[25] G. Secco 1991: 141. Cfr. anche http://www.soraimar.it/archivio/dettaglio.asp?G=D&F1=A&ID=6998.

[26] Cfr. C. Marcato, in G. Gasca Queirazza et alii 1990: 265; G. Secco 1991: 140; A. Angelini, E. Cason 1992: 18; C. Du Cange et al. 1883-1887: t. 3, p. 399, col. c., s. v. falcata prati; J. F. Niermayer 1993, s. v. falcata.

[27] G. Secco 1991: 146.

[28] Cfr. G. Magliaretta 1979: 45.

[29] Cfr. G. Magliaretta 1979, s. vv., e G. B. Pellegrini 1995: 272-3.

[30] G. Gasca Queirazza et alii 1990: 553.

[31] «Sappas hauua». Cfr. http://fr.wikisource.org/wiki/Les_Gloses_de_Cassel/Commentaire, e Alain Rey 1992, s. v. saper.

[32] J. F. Niermayer 1993, s. vv.

[33] http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts.

[34] M. Cortelazzo, P Zolli 1999, s. vv.

[35] Alinei pensa che sappa sia «attestato nel tardo ladino delle Glosse e in Isidoro», ma in realtà non compare in Isidoro, bensì nelle glosse di Isidoro.

[36] Ceppa è riportato anche in C. Du Cange et al. 1883-1887: t. 2, p. 267, col. b. A p. 266, col. c, compare inoltre la voce cepaticum, definita «Stipites arborum succisarum».

[37] Ne L’origine delle parole, Alinei dà questa definizione di iconimo: «‘Nome-icona’, ‘nome che attraverso il proprio riciclaggio rappresenta direttamente il nuovo referente concettuale’»; cfr. M. Alinei 2009: 65.

[38] M. Alinei 2009: 575-6 [tratto (con lievi modifiche) da: M. Alinei 2000: 851-2].

[39] G. B. Pellegrini 1990: 332.
Va rilevato che nel Du Cange non compare alcun cip(p)etum, cep(p)etum, cep(p)eta, cepeta, o caepeta, mentre è presente cepaticum (cfr. supra nota 36).

[40] E. Nègre 1990 : 331.

[41] In A. Dauzat, C. Rostaing 1978: 161, alla voce Chepoix (Oise) viene precisato: «[da cippetum] (luogo in cui dei tronchi d’albero conficcati nel suolo formano una palizzata [Soyer]; per il Sud, a. prov. cep, ceppo, piede di vite)». Per i due studiosi francesi cippetum ha in genere il valore di ‘palizzata’.

[42] A. Dauzat, C. Rostaing 1978 e A. Dauzat, G. Deslandes, C. Rostaing 1982.

[43] G. B. Pellegrini 1990: 412, 244. A p. 219 Pellegrini raccoglie un certo numero di toponimi dipendenti dalla voce falce, però nell’accezione di ‘curva’, e tutti esclusivamente toscani. Nessun derivato invece di zappa/sappa (a parte, appunto, Sappada).

[44] G. Rohlfs 1969: 445.

[45] Nel Dizionario di Giuseppe Boerio (G. Boerio 1971, s. v.) però, è registrata la voce zapìn ‘abete’, confrontabile con il francese e piemontese sapin.

[46] Comunicazione personale.

[47] Cfr. G. B. Pellegrini, A. Stussi 1976: 432.

[48] Sui significati diversi da quelli dei verbi da cui derivano, assunti dai participi passati, anche sostantivati, e dipendenti dai differenti contesti d’uso, si veda M. Alinei (1984): 98-9, 102 (nota 60).
Attestato dalla fine del 1500, zappare appartiene anche al linguaggio militare, col significato di ‘scavare opere di fortificazione’ (M. Cortelazzo, P Zolli 1999: 1847), vale a dire scavare fossi, trincee (anche ai piedi di un muro), ecc.

2 commenti:

  1. Nella speranza che il mio contributo possa servire per lo studio etimologico del toponimo 'Sappada', scrivo qui di seguito quanto ho pubblicato su "I Luoghi si Raccontano, Atlante Toponomastico della Provincia di Parma, Toponomastica di Borgotaro" a proposito dei nomi di luogo: 'Malsapello' e 'Sappellaccio':MALSAPELLO [a màsapelu]
    “Andùma a màsapelu”.
    Boschivo in falsopiano esposto a Nord a un’altitudine di circa 1000 metri s.l.m. nei pressi della zona detta ‘dei Lagassi’. Il toponimo Malsapello, sembra prendere il nome dall’aspetto del terreno che in quel luogo presenta un forte dislivello. La forma dialettale màsapelu è del tipo composto: la prima parte è formata dal lat. malus, it. ‘male’, mentre la seconda o dalla forma dialettale estinta sapél, probabile derivazione della voce longobarda zeppa, ‘piccolo rialzo’, ‘cuneo’ o da quella tardo latina sappa(m), ‘zappa’, con suffisso –ello da cui la forma italianizzata ‘sappello’. In Piemonte, alle voci dialettali sapé, sapél si attribuiscono i significati di ‘scalino’, ‘sentiero scalinato’, ‘passaggio’ e ‘varco’. Si veda la località Sapel, presso Roburent di Cuneo, dove sapél, sta per un muro di sostegno su un pendio terrazzato. Nel dialetto lombardo, la voce estinta sapél ha avuto come significato quello di sentiero campestre e probabilmente anche di ‘forte dislivello del terreno’. Il Toponimo Malzapello è di origine incerta, appartiene al genere degli oronimi e potrebbe essersi fissato a partire dal VI secolo d.C.
    [cfr. Il Sapellaccio, Porcigatone di Borgotaro (PR); Rio Malzapello, Lozzola di Berceto (PR); Poggio Zappello, Cantonaccio (MS); Baita Zappello e Lago Zappello in Val Venina presso Ambria (SO); Zappello d’Agrogno (SO); Zappello dell’Asino presso Aprica in Val Camonica (SO); Ël Sapel d’Artaban, Saluzzo (CN); Sapel, Roberunt (CN); Sapello da Muro, Azeglio (TO); Sapel da Mur, Cavaglia di Santhià (BI); Valle dei Sapelli, Colle di Brianza (LC); Via Sapello (GE); Re Sapello, Valpetronio, Casarsa Ligure (GE); Via Sapello, Zogno (BG); Sapel, Bondone (TN)]

    SAPPELLACCIO (IL) [al saplàsu]
    Trattasi di coltivo a Sud-Est del luogo detto il Parafulmine, un tempo vi si seminavano patate, avena e frumento. Il dial. saplàsu, che in italiano dovrebbe dare il dispregiativo ‘sapellaccio’ a causa del suffisso –accio (germ. –acco), potrebbe derivare dal lat. tardo sappa ‘zappa’. La voce dial. sapél è tipica dei dialetti parlati nell’Italia settentrionale col significato di salto o scalino e sopravvive ancora in alcuni dialetti locali dell'Alta Valtaro, si veda per es. sapéllu / ¡apéllu, ‘sentiero scalinato’ ⁴⁷. Il toponimo, perciò, potrebbe significare ‘scalinaccio’, ‘brutta scarpata’ o ‘forte declivio’. A conferma di questa ipotesi si fanno alcuni esempi: La voce fr. sape stà per ‘scalzamento’, ‘scalzatura’ e il tedesco sappe significa 'camminamento’, ‘trincea'. La forma dial. sapél (pl. sapéj) ⁴⁸ nell’antico dialetto parmigiano si usava per indicare una ‘stradetta campestre’. Nel Dizionario Garzanti della lingua italiana, alla voce ‘zoccolo’, tra la varie definizioni, si trova la seguente: “zona, dapprima a pendenza lieve e poi a pendenza più ripida”, termine che corrisponde all'aspetto morfologico del toponimo al saplàsu. Toponimo di etimo incerto che appartiene al genere degli oronimi, potrebbe essersi fissato a partire dal VI sec. d.C.
    [cfr. Malsapello, Belforte di Borgo Val di Taro (PR); Rio Malsapello, Lozzola di Berceto (PR); Poggio Zappello, Cantonaccio (MS); Baita Zappello e Lago Zappello in Val Venina presso Ambria (SO); Zappello d’Agrogno (SO); Zappello dell’Asino presso Aprica in Val Camonica (SO); Ël Sapel d’Artaban, Saluzzo (CN); Sapel, Roberunt (CN); Sapello, Scopello (CN); Sapello da Muro, Azeglio (TO); Sapel da Mur, Cavaglia di Santhià (BI); Valle dei Sapelli, Colle di Brianza (LC); Via Sapello (GE); Re Sapello, Valpetronio, Casarsa Ligure (GE); Via Sapello, Zogno (BG); Sapel, Bondone (TN)]

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  2. Per ‘ceppo’, in Comelico Superiore, Cadore e Friuli (come in genere nel resto del Veneto e in Trentino) si trova infatti il tipo cioca, rappresentato da voci quali, rispettivamente: zucu, ẑòcia e ẑòka, ćǫ́kǫ e zoc; al contrario, stando alla carta 536 dell’AIS, in più aree di Piemonte, Liguria, Ticino, Lombardia ed Emilia sono rappresentati i tipi ceppo, ceppa con assibilazione iniziale, con forme più numerose in Piemonte, ove si incontrano in varie località anche le varianti sapa, sappa, che invece nelle altre regioni risultano rilevate solo in alcuni luoghi.

    Nella Liguria occidentale per "ceppo" è in uso il tipo 'cioca': sücu/ciücu.

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