Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







mercoledì 25 aprile 2012

Sappada/Plodn. Terza parte


Il toponimo Plodn (plǫdn [plòdën], [plå̅d(ə)n]), Pladen, Bladen in tedesco, va ricondotto a Plât, nome tedesco medievale del Piave — dal lat. Plavis, acc. Plavem, derivato da un venetico *plavios < *plovio- < ie. *pleu- ‘scorrere’ [1].
Secondo Karl Finsterwalder si tratterebbe di un nome antico alto tedesco «Plât, flesso Plâde», ove -t, «indurimento tedesco del suono consonantico finale, sta per il romanzo -d-», e l’esito -v- > -d- ha la funzione di eliminare lo iato; cfr. il toponimo ampezzano Padeón, «in papilione» nel 1447, e l’oronimo Monte Pavione (Vette Feltrine), da papilio ‘tenda’ [2].
Per M. Hornung il poleonimo dialettale Plodn, scritto Ploodn, deriverebbe dal m.a.t. Plât, Plâden ‘Piave’ — la qual cosa risulta appropriata cronologicamente —: l’idronimo sarebbe stato «trasferito alla regione più alta del suo corso superiore» [3].
H.-D. Pohl, richiamandosi a quanto indicato da M. Hornung, riconduce Pladen alla «denominazione tedesca medievale del Piave: Plāt, dat. Plāden»: il poleonimo «è interpretabile partendo forse da bī deme Plāden ‘bei, am Piave’» [4], cioè ‘presso il / al Piave’ — e bī deme Plāden è, a quanto pare, un complemento di luogo medio alto tedesco, con l’-n desinenziale dei sostantivi maschili al gen.-dat.-acc. singolare della declinazione debole [5] (o con la terminazione in -en del gen.-dat.-acc. di tanti toponimi del medio alto tedesco).
G. B. Pellegrini e Carla Marcato (traendo l’informazione, con tutta evidenza, dal Wörterbuch di M. Hornung edito nel 1972 a Vienna) parlano in effetti di un Plât, dativo Plâden, medio alto tedesco [6].
Un dativo Plâden, non credo attestato in documenti, avrebbe dunque potuto essere impiegato per indicare un luogo ‘presso il (la) Piave’ [7], divenendo successivamente un neutro Pladen, Plodn in quanto nome di abitato (poleonimo).
La forma Plât è nominata da Ulrich von Liechtenstein (1200-1275), nell’opera Frauendiest (1255):
«Si vert des êrsten tages ze Tervîs, des andern tages an den Plât, des dritten tages ze Schetschîn, [...]» [8] («Lei viene il primo giorno a Treviso, il secondo al Piave, il terzo a Sacile»).
In «an den Plât» si riconosce un accusativo maschile retto dalla preposizione an ‘a’: l’idronimo è dunque usato da Ulrich in forma indeclinata.

A parere di G. B. Pellegrini «la tedeschizzazione di Plavis con b- (Bladen) non pare etimologica» — come già rilevato da M. Hornung [9] —, ma ricomparirebbe nei toponimi Biàdene (Montebelluna, TV) e Valdobbiàdene (TV), pure in connessione con l’idronimo Plavis [10], attestato come Pladem e Blavem in due manoscritti della Storia dei Longobardi di Paolo Diacono [11].
Secondo C. Malaguti, la forma Bladen sembrerebbe dovuta all’applicazione di tre delle «“regole della parlata” sappadina, utili in molti casi per passare dal dialetto sappadino al tedesco», vale a dire quelle della p, della o e della terminazione -en che diventano rispettivamente b, a, -n [12].
La forma Plodn non mi risulta attestata in alcuno scritto o documento prima del 1800, in quanto dialettale: stando alla raccolta Documenti (2005), compare per la prima volta, accanto al corrispettivo «nome tedesco» Bladen, nell’articolo Una colonia tedesca nel Bellunese. Sappada, di Francesco Pellegrini [13]. Le forme Pladen, Bladen compaiono nelle carte geografiche piuttosto tardi, a partire dalla fine del ‘700: la prima — la carta del Tirolo di Peter Anich —, in cui viene indicato il toponimo Pladen accanto a Sappada («Pladen oder Sapada»), risale al 1774 [14]. Successivamente, Pladen viene menzionato in una testimonianza del 6 dicembre 1783 («pro venerabili Ecclesia Parochiali in Pladen») e nell’articolo Die Deutsche Gemeinde Sappada nebst Sauris di Josef Bergmann, ove si cita la carta del Tirolo dell’Anich [15].

I Sappadini dunque denominarono Pladen i loro insediamenti perché sorti lungo il corso del Piave, che invece viene chiamato Pòch, cioè ‘il fiume (per antonomasia)’, cfr. il tedesco Bach ‘ruscello’ [16].
Il toponimo Pladen potrebbe corrispondere al Longa Plavi, Longaplavi, Longaplave, Longapiave, Longa Plavim, Longa Piave di alcuni documenti del XIV secolo, in buona parte in latino (tutti tranne i due del 1327, regesti in lingua italiana, redatti nel 1800 da monsignor Giovanni De Donà):

1) [exigere] affictus nostros de Longa Plavi de Sapada (24 gennaio 1308);
2) fratres et filii Petri de Longaplavi; [exigere] fictus nostros de Longaplavi et Sapada (4 novembre 1308);
3) filius quondam Petri de Longa Plavi; frater quondam Petri de Sapata de Longaplavi (18 ottobre 1318);
4) [lega] a Santa Margarita de Longaplave (17 novembre 1327);
5) lascia un legato a S. Margarita di Longapiave (16 dicembre 1327);
6) Joannis de Longa Plavim; nomine sui Comunis de Longa Plavim; montis jacentis longa Plavim; incipiendo a flumine Plavis; mitteret Longam Plavim (giugno 1373) ;
7) [locavit montem jacentem] in loco vocato Longa Piave (3 novembre 1388).

Nelle prime tre attestazioni viene nominata anche Sapada/Sapata:
• nel primo documento (24 gennaio 1308) come determinazione di luogo di Longa Plavi;
• nel secondo (4 novembre 1308), unito a questo toponimo da una et;
• nel terzo come nome di luogo determinato da Longaplavi (18 ottobre 1318).
Nel quarto e quinto documento (17 novembre e 16 dicembre 1327) Longaplave/Longapiave è la località in cui sorge la chiesa di «Santa Margarita» [17].
Nel sesto documento, del 1373, si leggono:
• due volte de Longa Plavim, usato come complemento, rispettivamente, di provenienza e di specificazione retto dalla preposizione de, ma con il nome del fiume uscente in -im, come fosse un accusativo richiesto da longa (cfr. longa Plavim);
• un Longam Plavim moto a luogo, in cui Longa è posto all’accusativo come si trattasse di un attributo di Plavim;
• un longa Plavim nel quale longa pare una preposizione reggente l’accusativo.
Invece in a flumine Plavis si avrebbe, accompagnato dall’apposizione flumine all’ablativo retto da a, il nome del Piave con la terminazione -is del nominativo/genitivo, già usato in altri atti del 1300-1400 come nome proprio indeclinato — cfr., in Documenti (2005): unum [trans (BSC)] flumen Plabis (13 settembre 1347); a flumini Plavis (13 giugno 1403) [18].

Nel sesto documento, ove, nella traduzione dei toponimi dalle forme locali alle latine, si manifesta una certa incertezza (che denota, in apparenza, una non completa padronanza delle strutture del latino), interessa più di tutto il sintagma jacentis longa Plavim, costruito con un longa preposizione, che regge l’accusativo e vale ‘lungo, per il lungo, per tutta la lunghezza’ — confrontabile forse con juxta + accusativo.
Si ha qui conferma del valore preposizionale dell’elemento Longa nelle forme Longa Plavi, Longaplavi. Si tratterebbe di un adattamento alla lingua latina notarile di un toponimo in uso, con tutta probabilità, nella parlata cadorina (del Cadore Centrale e dell’Oltrepiave) del XIV secolo — in Longaplavi il nesso pl- è conservato, il che corrisponderebbe alla pronuncia locale trecentesca.
In effetti, i sette documenti sopra indicati sono stati redatti quasi tutti da estensori cadorini o comeliani e in località del Cadore — a Pieve di Cadore, Campolongo, Lorenzago (da escludersi quasi certamente la località Levazole [?], del documento del 24 gennaio 1308 [19]). Inoltre, Longaplavi si può confrontare col toponimo cadorino Longiarù, attestato nel 1641 e, nella forma “notarile” Longiarudum (con -d- al posto dell’etimologico -v-), nel 1552. Tale nome di luogo — ci informa Maria Teresa Vigolo — «si trova nella toponomastica odierna nei pressi di Pozzale e corrisponde alla forma dialettale non lessicalizzata lòngia-(al) rù “lungo il rivo”, dal lat. lŏngus (usato in forma preposizionale) + rīvus, cfr. il cadorino ru “ruscello, torrente”» [20].
Nelle attestazioni del 1552 e 1641 il toponimo presenta la palatalizzazione di -ga con esito -ǧa, da cui la forma Longia-rù [21], palatalizzazione che ritroviamo registrata in documenti cadorini del 1400-1500; si veda, ad esempio, Gavum, Giavum (1444), Giau (1540), giau (1600), Giou (1654), confrontabili con i friulani giàf “Valle torrentizia”, Giâf, Giavóns (Rive d’Arcano, Giavons nel 1229), tutti dal latino cavus [22].

Nei documenti dei secoli successivi il nome Longaplavi non compare più, fatta eccezione per cinque atti cinquecenteschi relativi alla «vertenza tra Sappada e Lorenzago sullo sfruttamento a pascolo del [bosco] Digola», in cui si nomina il sito Longa-piave, Longapiave, Longa-plave, che però non corrisponde più all’abitato del 1300, ma dovrebbe essere — come si vedrà poco più avanti — un tratto pianeggiante alla sinistra del Piave, situato «sul versante settentrionale del bosco Digola»:

1) alle piazze della Piave, ossia Longa-piave; nel sito di Longa-piave (24 maggio 1516);
2) parte del loro monte della Divola, cioè il Longa-piave (25 maggio o giugno 1516);
3) i siti nominati alle piazze e Longa-plave (18 giugno 1532);
4) le piazze e Longa-piave; nelle piazze e nel Longa-piave; il Rin bianco e Longapiave (19-20 giugno 1532);
5) le piazze della Dievola o Longapiave; le Piazze della Dievola, e Piazze della Longapiave (10-14 ottobre 1533) [23].

Ci si aspetterebbe in questo caso, per attestazioni del 1500, che in Longapiave fosse evidenziato l’esito della palatalizzazione del gruppo -ga-, ma evidentemente la grafia riflette un adeguamento agli usi linguistici notarili-cancellereschi di allora, e quindi la tendenza ad eliminare i fenomeni più locali — e in Longa-plave un tratto latineggiante.

Giuseppe Ciani (1856) pensava che Longaplave fosse una delle borgate — una delle prime — sorte lungo il Piave, chiamata appunto così perché «posta lunghesso il fiume» [24].
A giudizio di Francesco Pellegrini (1873) «il luogo che nelle carte medievali si chiamava dapprima latinamente Longaplavis, assunse dappoi il nome di Sapata» [25]. Longaplavis è il nominativo latino, credo mai attestato, tratto dal Longaplavi menzionato negli «ordini di protezione» degli anni 1308 e 1318. In realtà le forme Longaplavi e Longa Plavi sono precedute proprio dal Sapata del primo documento su Sappada a noi pervenuto, del 2 agosto 1295, toponimo che si ritrova poi nell’«ordine di protezione» del 18 ottobre 1318 e nella «concessione di sfruttamento» del 2 febbraio 1334.
Secondo quanto riferisce A. Peratoner, G. Fabbiani (1962) riteneva che il Longaplave dei documenti del 1300 sopra menzionati potesse riferirsi a «una località distinta, situata “alla sinistra del Rio Storto (Krummbach) nella parte pianeggiante alla sinistra della Piave” [26], vale a dire ad un’area adibita a pascolo sul versante settentrionale del bosco Digola». A parere di G. Piller Puicher si tratterebbe invece — ci informa sempre Peratoner, che però non ci dice da dove abbia tratto la notizia — dell’insieme delle borgate disposte «parallelamente al (lungo il) corso del Piave» [27].
Peratoner stesso ritiene accettabile l’ipotesi formulata da Fabbiani sulla base di quei documenti, ipotesi che sarebbe rafforzata dalla presenza di un accordo del 24 maggio 1516 «che fa cenno di un pegno “tolto sul predetto monte della Divola nel sito detto alle piazze della Piave, ossia Longa-piave” e aggiunge che i Sappadini affermarono “d’aver sempre avuto l’uso di pascere i proprii animali nel sito di Longa-piave”». Anche in questo documento dunque Longaplave sarebbe «una località distinta da Sappada, non abitata ma destinata ad attività silvo-pastorali». Però, nota Peratoner, sulla base delle attestazioni contenenti Longaplave risalenti agli anni 1318, 1327, 1373 («“Comune di Longa Plave”»), si deve supporre «l’esistenza parallela, nell’età medievale, del toponimo Longaplave accanto e con significato analogo a quello più comune di Sappada» [28].

Ammettendo tuttavia che i due nomi si riferiscano a due luoghi distinti, si può solo immaginare che prima del Trecento, con Longaplavi si intendesse il tratto di valle e con Sapada l’abitato relativamente sparso, oppure, preferibilmente, con Longaplavi l’insediamento parallelo al fiume, forse solo nel tratto di Granvilla o anche fino al Rio del Mulino, e con Sapada quello più in alto, cioè l’attuale Cima Sappada - Zepodn.

Invece, nei documenti del XIV secolo, con Longaplavi si intende designare, rispettivamente:

1) una località di Sappada (Longa Plavi de Sapada = del Commune di Sappada) in cui si trova un maso per il quale degli abitanti di Sapada, nominati nel documento successivo, devono pagare l’affitto, così come altri Sappadini (24 gennaio 1308);
2) la località in cui abitava un tale Pietro e probabilmente abitano i suoi due figli (indicati come habitatores nostri de Sapada), e dove si trova anche il loro maso — qui però si precisa che i fitti pagati dai Sappadini sono di Longaplavi et Sapada, come se si trattasse di due località distinte (4 novembre 1308);
3) la località in cui abitava il Pietro del documento precedente e dove probabilmente abitano i suoi eredi — Pietro è anche detto de Sapata de Longaplavi, con inversione dei due toponimi rispetto al Longa Plavi de Sapada del primo documento, forse per una svista (18 ottobre 1318);
4-5) la località in cui sorge la chiesa di Santa Margarita, che nel lascito redatto a Ovaro nel 1295 viene chiamata ecclesia de Sapata — qui siamo infatti ancora in ambito cadorino: le donazioni testamentarie sono fatte da persone di Campolongo e Costalta (17 novembre e 16 dicembre 1327);
6) il Comune (nomine sui Comunis de Longa Plavim) a nome del quale Nicolò di Giovanni de Longa Plavim sottoscrive la «Concessione di sfruttamento di parte del bosco sul versante occidentale delle Terze» — qui Sappada non viene neanche nominata (giugno 1373);
7) il luogo ove sorge il monte dato in affitto, la prima volta nel 1373, dai Lorenzaghesi al Comune di Sapada — qui invece vengono menzionati sia Sapada che i Sapadini (3 novembre 1388).

In quest’ultimo documento si prefigura un po’ la situazione delineatasi nei secoli successivi, quando tutto l’abitato e la comunità (villa, comun, Comune...) — compreso l’insieme delle borgate poste lungo il versante settentrionale della valle — vennero definitivamente designati con il nome di Sapada, Sappada (e talvolta Sapata, Sappata) [29], e il toponimo Longaplavi non venne più usato, tranne nel Cinquecento, in cui, come si è visto, si riutilizzerà nella forma Longapiave per indicare l’area alla sinistra del Piave.
Stando alle attestazioni duecentesche-trecentesche, “Sappada” risulterebbe il nome utilizzato nel latino notarile-cancelleresco, in ambito ducale e friulano, in atti nei quali — va sottolineato — si accenna talvolta al Piave (1347, 1350) ma Longaplavi non viene mai menzionata:
ecclesia de Sapata (1295), villa de Sappada o Sapada (1296), in contrata qui dicitur Sapata (1334), Sappada (e Villa nostra Sappada) (1347), Sappada (1392).
Invece nei documenti tra il 1308 e il 1334, appartenenti all’ultima fase del dominio caminese, troviamo le denominazioni Longa Plavi de Sapada, Longaplavi, Sapata de Longaplavi, Sapata, come ci ricorda Carlo Malaguti [30], cui va aggiunta però la coppia Sappada-Sapada (se nell’originale) dell’ordine di protezione del 24 gennaio 1308.

Le forme del tipo “Sapata” si incontrano sempre in documenti (specie d’ambito friulano) scritti nel latino notarile-cancelleresco (1295, 1318, 1334, 1493 [cinque Sappatta e un Sappata], 1620 [cinque Sappata e un Sapata], 1659 [Sappata], 1704), o ecclesiastico (1431?) — eccezion fatta per il documento notarile del 3 agosto 1535 redatto in forme particolaremente ibride —; in due casi compare Sappata accanto al più corrente Sappada: nel 1535 [tre Sappata] e nel 1659.
Tutto ciò starebbe a indicare che le forme Sapata, Sappata dipenderebbero più che altro dalla tendenza a latinizzare i nomi propri rintracciabile in tante scritture notarili o cancelleresche, tra Medioevo ed Età moderna.

Le forme del tipo “Zap(p)ada”, tutte e tre attestate in epoca moderna — homeni di Zappada («Ricorso in appello alla Quarantia Civil Nuova», 14 0ttobre 1532), comune di Zapada («Istanza presentata all’Avogaria dal Comune di Lorenzago», 29 ottobre 1584), Acqua detta de Zapada (Carta del Cadore, realizzata da Giovanni Francesco Carli su disposizione di Nicolò Foscarini, 1713) [31] — potrebbero spiegarsi con un’erronea resa venezianeggiante dell’usuale Sap(p)ada, anche involontaria, sulla base di un accostamento a voci veneziane quali zapada, zappada ‘zappata’ e ‘pestata, orma’ o zapada, zapata ‘sandalo, ciabatta’ [32].

Il toponimo italiano Sappada secondo alcuni potrebbe dipendere dal nome dialettale Zepodn, fatto derivare da Plodn — ma la cosa non pare granché verosimile —, oppure interpretato come zum Boden/zum poden ‘sul pianoro’ [33] o, in modo analogo, partendo dal «dial. tse poudn, cioè ‘zu Boden’, zu Boden nel senso di ‘sull’altopiano’» [34]. In effetti il paese è posto in un’area pianeggiante [35], ma in sappadino attuale ‘pianoro’ è poudn, con un dittongo che non compare nel presunto elemento -podn (che ha invece una vocale lunga), e che non si comprende perché non dovrebbe comparire nell’attuale nome dialettale di Cima, qualora fosse etimologico (cfr. infra la nota 41).
Quella è, in buona sostanza, l’interpretazione data da Peratoner in Storia di Sappada e in Sappada / Plodn (2002): «Quanto al toponimo Sappada, riteniamo sufficientemente evidente la sua dipendenza dal dialettale Žepod’n, nome dell’attuale nucleo abitativo di Cima Sappada, del resto il primo ad incontrarsi nel salire dalla Val Degano e che potrebbe a buon titolo aver designato l’abitato vallivo nel suo insieme, dato che i primi e più antichi contatti furono col versante carnico. La sua origine, poi, potrebbe essere zum poden (al piano, con riferimento al pianoro su cui è stabilita), oppure nel suo composto potrebbe celarsi il dialettale Plod’n, corrispondente a Sappada nell’idioma locale». Tale derivazione Sappada < Zepodn — ci informa Peratoner — era stata ipotizzata dal maestro Guido Kratter e ripresa da A. Cucagna (1965); sarebbe poi «confermata dal ricorrere nei primi documenti della variante priva del raddoppiamento Sapada, più vicina a Žepod’n» [36].

Peratoner poi, ritiene «alquanto inconsistente la derivazione di Sappada dal verbo zappare (dial. ven. sapàr), già avanzata da J. Bergmann, ripresa da G. Fabbiani — “Sappada è nome derivato forse dal terreno zappativo per eccellenza” (Alcuni documenti riguardanti Sappada di Cadore, in: «ASBFC», XXXIII, 1962, n. 159, apr.-giu., p. 50) —, non esclusa da A. Cucagna [1965] e sostenuta da M. Hornung: “Zepaden [sic] è la forma dialettale tedesca della romanica zappata, da zappare, nel significato di dissodare” (L’isola linguistica tedesca di Pladen / Sappada in Carnia, [in Aa. Vv., Le isole linguistiche di origine germanica nell’Italia settentrionale, Roana, 1984], p. 195)» [37]; riproposta inoltre da Mario Toller (1969) — il quale suppone: «“Dal participio passato sappata, che probabilmente concordava o con terra o villa o contrada, si è passati per un’omissione di amanuensi friulani o veneti, che escludono le doppie, alla forma Sapata”» [38] — e Ivana Milocco (1999). Una spiegazione etimologica che «probabilmente anche a motivo della sua facile banalità, è stata pedissequamente ripresa in diverse altre pubblicazioni a carattere divulgativo» [39]. Ma che in realtà è sempre stata sostenuta anche da linguisti quali G. B. Pellegrini e Carla Marcato, cosa di cui Peratoner sembra non essere veramente a conoscenza.
Al contrario appunto, per G. B. Pellegrini — che tra l’altro Peratoner pare aver frainteso [40] — «il nome italiano è riflesso dalla tedeschizzazione tsepodn ‘Cima Sappada’ (Oberpladen)»; tsepodn sarebbe in effetti l’adattamento del «nome pretedesco di Sappada» — «adattamento» sul quale però Pellegrini non dà alcuna spiegazione — e il toponimo Sappada alluderebbe «ad un terreno zappativo assai buono» [41].

Alcune osservazioni si rendono ora necessarie.
Per sostenere la derivazione Sap(p)àda < Zepodn — ammettendo che si debba partire da una forma non attestata *Zepoden o simile, in uso ben prima del 1295-1296 (visto che le forme Sappada, Sapada sono menzionate già nel 1296), mentre Zepodn non so se sia documentato prima del 1800: cfr. lo «Zupaden oder Cima Sappada» di Josef Bergmann, nel 1849 [42] —, bisognerebbe prima di tutto spiegare i mutamenti m.a.t. ze- > romanzo (friulano, cadorino, comeliano) sa- in sillaba pretonica, cosa che mi pare non sia stato fatto.
Altrettanto si richiederebbe per la sequenza romanzo Sap(p)àda > ted. dial. *Zepaden > plodarisch Zepodn. In questo caso si comprende abbastanza facilmente la formazione di Zepodn da *Zepaden in quanto analoga a quella di Plodn da Plāden: anche *Zepaden sarebbe un nome di luogo in -en, terminazione del gen.-dat.-acc. che ritroviamo in tanti toponimi del medio alto tedesco. E si spiega agevolmente anche l’esito s- > z- [ts], poiché in un certo numero di prestiti relativamente più antichi dal romanzo al tedesco — tale tendenza però non è molto comune — la s- iniziale è passata a z- sorda, come comprovano, nel saurano, gli sviluppi di Zahre da Sauras/Saures e di zigl ‘secchia’ dal lat. situla [43] — da confrontarsi con sela, schela a Sappada, dal friul. sela (attestato nel 1356, 1360) [44] — e, a Sappada, gli oronimi Zere (‘Zehre’, M. Siera) e Zetz (Monte di Sesis), rispettivamente dal friulano siera, siere ‘sbarramento, catenaccio’ [45] e da una voce romanza non ancora identificata con sicurezza [46]. Il cambiamento vocalico -a- > -e- va invece interpretato come indebolimento della a in sillaba pretonica [47].

Forse si può anche postulare una «reinterpretazione paretimologica» di Sapada (*Sapaden?) in *Ze-paden > Zepoden, con poden inteso come corrispondente al ted. Boden (più che a Baden), da parte di una comunità parlante una varietà pustero-carinziana e non in grado di associare al toponimo romanzo il significato d’origine, a maggior ragione se il primo insediamento, già denominato Sap(p)ada, si può far risalire a uno o due secoli prima di fine 1200 [48]. Si tratterebbe, tutto sommato, di una paretimologia simile a quella riconoscibile nella spiegazione di Zepodn da ze poden (m.a.t. boden) di cui sopra, nella quale però non si tien conto della presenza nel sappadino attuale della forma poudn ‘fondo, piano’ e delle voci podn, pode-, correlate ai tedeschi baden ‘fare un bagno’, bade- ‘da bagno’.
Esistono infatti più toponimi sappadini composti con poudn, però con l’altro componente costituito da sostantivo o aggettivo, toponimi registrati dallo stesso Peratoner: Houvarpoudn, Poudnrāne, Sòntpoudn, Ob(e)rpoudn (o piuttosto Ouberpoudn?), Puichpoudn, Rindrpoudn [49].
Nomi di luogo composti con Poden, correlabile al m.a.t. boden (ted. Boden), vengono elencati da G. Piller Puicher in Sappada, isola etnica e linguistica. Toponomastica e vocabolario (1997) [50]: Rio Puichpoden, Eckar Poden, Milpar Poden, Ober Poden, Erz Poden (Erz Poud’n), dei quali il primo, il quarto e il quinto corrispondono al Puichpoudn, all’Ob(e)rpoudn e, probabilmente, all’Erzpèidne [51] menzionati da Peratoner. Dall’esame di Documenti (2005), inoltre, risulterebbe un Aillen Poden citato in un atto seicentesco (1680) di «Divisione delle proprietà terriere dei masi sappadini»: «item altro pezzo di Prado nom.to Lanner in Aillen Poden» [52]. Si tratta in questo caso di una forma scritta che non si sa quanto corrispondesse alla pronuncia effettiva seicentesca; bisognerebbe sapere infatti quando è nata la pronuncia [póudn] e se, come ipotizzo, solo in epoca molto recente si sia cominciato a trascriverla nella forma corrispondente <poudn>.

Riguardo all’origine slava del toponimo Sappada, cui si è accennato nella Seconda parte, al § 3., H.-D. Pohl — in Comelico, Sappada, Gaital, Lesachtal: paesaggio, storia e cultura (2002) [53] — menziona la teoria formulata da Giorgio Piller Puicher nel 1997 [54], ricordando che, tra le tante ipotesi di «derivazione slava», una è stata proposta dallo stesso autore sappadino, il quale, in alternativa al dial. ze podn = ‘zu Boden’, ‘sull’altopiano’, pensava a una possibile origine di Sappada «dallo slavo (sloveno) zapadna ‘occidentale’». Va qui precisato però che Piller Puicher nel 1997 riconduceva, distintamente, Zepoden — trascritto come Z’POHD’N — al tedesco zum Boden (attraverso una forma zum Poden), e Sappada allo slavo zàpadna, voce che nel 1995 aveva riportato per lo più nella forma scorretta Sapadna [55].
L’aggettivo femminile zapadna ‘occidentale’ (da zapad ‘occidente, ovest’), comune a serbo, croato, slovacco, viene pronunciato con una s sonora iniziale e con accento sulla prima a (zàpadna), quindi è ben difficile possa dare origine a una forma quale Sapàda — si dovrebbe, tra l’altro, partire piuttosto da una voce appartente all’antico sloveno, anche perché nello sloveno di oggi ‘occidentale’ si dice zahodna (da zahod ‘occidente, ovest’).
Bisognerebbe poi chiarire bene rispetto a cosa sarebbe ‘(una terra?) occidentale’ (un «territorio OCCIDENTALE», secondo Piller Puicher) il pianoro di Cima, o eventualmente tutta la vallata di Sappada, che si trova a ovest della Val Degano ma al tempo stesso a sud del Lesachtal. Piller Puicher ritiene che Sappada sia occidentale rispetto alle valli del Danubio da cui gli Slavi provenivano, e che anzi sia la «terra più a occidente da essi raggiunta» [56]. In effetti la maggior parte del corso della Drava si trova grosso modo a est di Sappada, però anche località come Lienz o Maria Luggau potrebbero esser annoverate tra le più occidentali raggiunte dagli Slavi alpini. Quanti altri luoghi, in realtà, potrebbero essere definiti ‘occidentali’? Sarebbe bene inoltre sapere se esista effettivamente in sloveno qualche località il cui nome significa ‘occidentale’.


[1] A. L. Prosdocimi 1988: 391.

[2] G. B. Pellegrini 1990: 375, 412; C. Marcato 1993: 33; K. Finsterwalder 1990, 1995: 111-2 (Band 1) e 987, nota 4 (Band 3); http://www.pd.istc.cnr.it/index2.php?option=com_docman&task=doc_view&gid=106.

[3] M. Hornung 1972: 497-8; M. Hornung 1995: 368, 544.

[4] H.-D. Pohl 2002: 39-40; H.-D. Pohl 2010: 2.
Pohl — così come M. Hornung nel Pladner Wörterbuch / Glossario Sappadino (1995) — non menziona il toponimo medievale Longaplavi citato in alcuni documenti del 1300, di cui si dirà ultra.

[5] La terminazione -en si ritrova in tutte le forme dei sostantivi (e aggettivi) della declinazione debole del medio alto tedesco, tranne il nom. sing. m. f. e il nom. acc. sing. neutro (cfr. G. Dolfini 1976: 38-45).

[6] C. Marcato, in G. Gasca Queirazza et alii 1990: 604-5; G. B. Pellegrini 1992: 235; C. Marcato 1993: 33.

[7] Si tratterebbe di un dativo con funzione locativa, e quindi un dativo non necessariamente retto in origine da una preposizione, poi scomparsa, quale bi, (ted. bei ‘presso’) + dem(e) (articolo m.).
In tedesco in effetti, in diversi toponimi «si è imposto il dativo, sia al singolare (p. es. Bruggen/Brucken = ponte, mhd. brucke) che al plurale (Pichlern/Bichlern "presso coloro che abitano al Bichl = Bühel")» (H.-D. Pohl, comunicazione personale).
Cfr. Pidig - Púdio, in http://lucio-iuos.blogspot.com/2010/08/nomi-di-luogo-dorigine-celtica-dellalto.html, e anche quanto rilevato da H.-D. Pohl (2002: 40-1 e 2010: 2) riguardo al nome della borgata Cottern: «Gattern (auch Cottrn) [kåtrn], amtlich Cottern (d.i. ‘[bei den] Gattern’)» — «Gattern (anche Cottrn) [kåtrn], uffic. Cottern (cioè ‘[bei den] Gattern’)» (= it. ‘[(d)ai] cancelli’).

[8] Frauendiest, Prosabrief B (Bechstein I, 181).

[9] M. Hornung 1972: 497-8.

[10] G. B. Pellegrini 1992: 235; D. Olivieri 1961: 149-50. L’associazione di Bladen con Biàdene e Valdobbiàdene si ritrova già in Francesco Pellegrini (1873); cfr. A. Peratoner 2002: 294 e A. Peratoner 2005: 285.

[11] C. Marcato 1993: 33. Cfr. Storia de Longobardi, II, 12: ad fluvium Plavem, e le diverse lezioni dei manoscritti: Plabam (A 4), Plavem (A 2, E 1 et al.), Blavem (G 5), Pladem (I 3), ecc. (Paolo Diacono 1992: 90-1; Paolo Diacono 1878: 79).

[12] C. Malaguti 2001: 38.
Peratoner rileva come Bladen sia una forma «priva di fondamento», «oggi in disuso nella stessa Sappada, dopo un periodo di alcuni lustri di fortuna nell’ultimo dopoguerra» (A. Peratoner 2002: 65, nota 35; cfr. anche M. Hornung 1972: 498).

[13] A. Peratoner 2002: 294; A. Peratoner 2005: 285.

[14] C. Malaguti 2001: 37-8.

[15] A. Peratoner 2002: 287; A. Peratoner 2005: 236.

[16] Cfr. anche C. Malaguti 2001: 39.

[17] A. Peratoner 2005: 8, 9, 11, 12, 12, 18, 20; C. Malaguti 2001: 35.
Cfr. anche http://www.plodn.info/sappada/paese.html; http://www.plodn.info/cd/borgate/entita/it/23.htm.

[18] A. Peratoner 2005: 14, 26.
Al contrario, cfr. il «per Plavim [...] super dictum flumen Plavim» (1315), di un passo della biografia del beato Enrico da Bolzano, scritta da Pier Domenico da Baone, citato in un articolo di Bartolomeo Zanenga, in G. Secco 1992: 10.

[19] Levazole va forse confrontato con il toponimo Castellavazzo (BL), attestato come Levatio nel 1161 e Levaço nel 1243 (cfr. C. Marcato, in G. Gasca Queirazza et alii 1990: 170 e http://www.archividelmediterraneo.org).

[20] M. T. Vigolo 2008: 7 (pagina del testo riprodotto nel sito http://www.pd.istc.cnr.it/).

[21] Nome anche di una frazione di San Martino in Badia (BZ), localmente Lungiarü.

[22] M. T. Vigolo, P. Barbierato 2007: 13-4 (pagina del testo riprodotto nel sito http://www.pd.istc.cnr.it/).

[23] A. Peratoner 2005: 43, 44, 61, 63 e 66, 87.

[24] Giuseppe Ciani, Storia del Popolo Cadorino, Padova, 1856 (rist. anast. Bologna, 1969), pp. 292-3, cit. in C. Malaguti 2001: 33-4.
Secondo G. B. Pellegrini — in Introduzione all'Atlante storico-linguistico-etnografico friulano (ASLEF), Istituto di glottologia dell'Università di Padova, 1972, p. 63 — Longaplave (nome attestato nel 1308, in realtà nella forma Longaplavi) si riferiva ad una borgata vicina a Sappada.

[25] A. Peratoner 2002: 295; A. Peratoner 2005: 285.

[26] Giovanni Fabbiani, Alcuni documenti riguardanti Sappada di Cadore, in «ASBFC», XXXIII, apr.-giu. 1962, p. 55.

[27] A dire il vero, nel suo libro del 1995, su Longaplave Piller Puicher asserisce “soltanto” che il toponimo Plodn (Plôdn) venne «assunto nella fase di amalgama tra le popolazioni bavaresi e carantane colà insediatesi», allo scopo di «indicare la valle di “Longaplave”» (G. Piller Puicher 1995: 15); che gli Slavi stanziatisi a Cima «diedero poi il nome di Sapadna = occidentale alla valle di Longa Plave», nella quale si stabilirono successivamente i Bavaresi; e, ancora, che Pladen = Plôdn va ricondotto a «Longa-Plave», chiamata così da Avari e Bavaresi scesi da Nord (G. Piller Puicher 1995: 26).

[28] A. Peratoner 2002: 64-5; A. Peratoner 2005: 43-4.

[29] Nelle carte geografiche sono indicate, per il paese, le seguenti forme toponimiche: Sapada (1546, 1553, 1563, 1564, 1589, 1590, 1599, 1608, 1713, 1774, 1801-1805), Spada (1573), Sappada (1620, 1780), Sapada inf., Sapada sup. (1802); per il fiume e la valle: la piave (1553), Valle di Sapada (1599), la Piave (1608), Piave f. (1620), Acqua detta la Zapada (1713), Li Sapada T. (1780), Val Spada (1802), Canal di Sapada, Piave Fi. (1801-1805). Cfr. C. Malaguti 2001: 36-8; A. Peratoner 2002: 79, 81, 83, 85, 86, 87.

[30] «Longa Plavi de Sapada, Longaplavi, Sapata de Longaplavi, oppure semplicemente Sapata» (C. Malaguti 2001: 35).

[31] Tutte le informazioni relative ai documenti sono tratte da A. Peratoner 2005.

[32] Cfr. M. Cortelazzo 2007: 1510.

[33] In C. Malaguti 2001: 39, si sostiene che la preposizione articolata zum possa valere ‘lungo il’ o ‘ai margini di’ — il che non risulta — e che Zepodn derivi dal ted. zum Boden (= ‘ai margini di un terreno coltivato’: «la borgata Cima si trova in effetti ai margini di un ampio pianoro»), attraverso gli esiti zum Podn > Zepodn, ove si riscontrano, nell’ordine, l’applicazione delle tre “regole” sopra menzionate e un passaggio ritenuto «facilmente ipotizzabile» — attraverso il quale però si procederebbe da un ted. zum, preposizione articolata attuale, a una preposizione semplice dialettale ze, derivata, a quanto pare, dallo ze medio alto tedesco (cfr. M. Hornung 1995: 457).

[34] H.-D. Pohl 2002: 39-40, nota 12, e 2010: 2, nota 8.
Serve forse qui ricordare che M. Hornung (1995: 457), nel Pladner Wörterbuch / Glossario Sappadino, alla voce tsse, tssi, dal m.a.t. ze, rileva che la variante tssi è caratteristica del sappadino parlato a Cima.

[35] Cfr. A. Peratoner 2009a: 15.

[36] A. Peratoner 2002: 65 e nota 34; A. Peratoner 2004: 168.

[37] «La romanica zappata» va corretto in «la romanza zappata».

[38] M. Toller, Sappada, eventi e uomini, Udine, 1969, Arti Grafiche Friulane, pp. 9-10.

[39] A. Peratoner 2002: 65 e nota 34.

[40] Peratoner cita G. B. Pellegrini 1990: 412 proprio nella prima riga di A. Peratoner 2002: 65, nota 34, attribuendogli (a quanto si capisce) un’adesione all’ipotesi di dipendenza di Sappada da Zepodn che quel linguista non ha certo formulato.

[41] G. B. Pellegrini 1990: 412; A. Angelini, E. Cason 1992: 28-9.
Già Maria Hornung (1995: 550) riteneva Zepodn una «forma tedeschizzata» del toponimo Sappada.
M. Hornung (1972: 523, 1995: 550) e Anton Draxl (2002: 78) trascrivono quel nome locale, rispettivamente, come tßepōdn, tssepóodn e Tsepooddn, indicando così che la -o- di Zepodn era originariamente una ā m.a.t. che in sillaba aperta è diventata una ō, secondo un cambiamento vocalico normale nel sappadino (cfr. H.-D. Pohl 2002: 61-2).
Secondo A. Peratoner, il toponimo Oberpladen «ha l’apparenza di una tarda retroversione al tedesco a partire dalla denominazione italiana» di Cima Sappada (A. Peratoner 2009c: 32). Non so se sia menzionato in qualche scritto antecedente al 1874 e 1877, anni in cui compare in due lavori di Antonio Ronzon: «Oberpladen (Cimasappada)»; cfr. A. Peratoner 2002: 298 e A. Peratoner 2005: 295.

[42] Cfr. A. Peratoner 2005: 236.

[43] L. Protto 2004: 196.

[44] Friulano comune sele, forma attestata nel 1382, 1385; cfr. http://www.dizionariofriulano.it/.

[45] «Sière sf. (Carnia) = Specie di saracinesca costruita di tronchi, tavole, sassi e rami intrecciati attraverso un torrente [...]» (G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 1040). Cfr. anche A. Peratoner 2002: 138-9.

[46] «Zetz [tsɛts] ‘Zetz’ (sulle carte anche Sesis [avviso di M. Hornung]; nome di campo, zona di pascolo): attestato nel 1505 Montem de Sesis, dial. (Comelico) Sëde [Söde]; o dal friul. siês ‘sedile’ [‘scannello posteriore del carro rustico’], o dal friul. sesis / sisis ‘recinzioni, siepi’ [friulano comune: cise (e zise)] ~ italiano antico sezzo ‘l’ultimo’ < lat. setius ‘più piccolo’; [Nota 21: «Così, con riserva, Cesco-Frare – Pellegrini 2000: 13.»] [...]» (H.-D. Pohl 2002: 43-4 e H.-D. Pohl 1210: 3-4). Cfr. anche C. Malaguti 2001: 112-5 e A. Peratoner 2002: 138.
In M. Benedetti, C. Kratter 2010 non compaiono altri prestiti dal romanzo con, in sappadino, z- iniziale, a parte la voce zimma, ritenuta d’origine italiana, ma forse da confrontarsi piuttosto col comeliano zimä (G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 259) o con voce analoga cadorina (ẑima).

[47] La spiegazione dell’esito Sa- > Ze- mi è stata gentilmente suggerita dal professor Pohl.

[48] Cfr. G. Dolfini 1976: 75.

[49] A. Peratoner 2002: 139, 140, 142, 145. Ve ne sono altri con il plurale peidne ‘piani’.

[50] G. Piller Puicher 1997: 9, 10, 12, 17, 19.

[51] A. Peratoner 2002: 145.

[52] A. Peratoner 2005: 155-6.

[53] H.-D. Pohl 2002: 39-40 (nota 12); H.-D. Pohl 2010: 2 (nota 8).

[54] G. Piller Puicher 1997: 23.

[55] Cfr. G. Piller Puicher 1995: 5-6, 15, 26.

[56] G. Piller Puicher 1995: 5-6, 15.

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