Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







domenica 12 dicembre 2010

Le kannerezed-noz. 3ª parte



Souvestre, Le Braz

Ne Les Lavandières de nuit raccolta da Souvestre, si narra che un primo novembre, nel pieno della notte, un certo Wilherm Postik, un «enfant de l’ange noir» [1], dovendo rientrare al suo villaggio dopo tanto tempo trascorso all’osteria, a un crocicchio scelse la via più breve, che — com’era noto — era frequentata dai morti. A mezzanotte, in un vallone, gli si fece incontro la carretta non ferrata della Morte, karr-an-Ankou, di fronte alla quale Wilherm non dimostrò alcuna paura, bensì la sua solita sfrontatezza, anche quando l’Ankou lo ebbe informato che stava andando a prendere proprio lui.
Ripreso il cammino, poco prima del lavatoio, scorse due donne bianche che stendevano della biancheria sui cespugli a lato della strada. Anche con loro si fermò a conversare.
– Come mai siete rimaste fino a così tardi nel prato, mie piccole colombe?
– Noi laviamo, noi asciughiamo, noi cuciamo! risposero le due donne a una voce.
– E che cosa? domandò il giovanotto.
– Il sudario del morto che parla e cammina ancora.
– Un morto! Perbacco! Mi direte il suo nome.
– Wilherm Postik.
Il giovanotto rise più forte di prima e scese per il sentiero sassoso.
Ma via via che avanzava sentiva sempre più distintamente i colpi delle lavandaie notturne sulle pietre della douéz [il ‘lavatoio’] [2]: e ben presto le vide battere i loro lenzuoli funebri cantando il triste ritornello:
Se un cristiano non viene a salvarci
fino al Giudizio dovremo lavare.
Al chiar di luna, al soffiare del vento,
sotto la neve, il sudario bianco. [3]
Quando videro l’allegro gaudente venire verso di loro, accorsero tutte con grandi grida, presentandogli i loro lenzuoli e dicendogli [gridandogli («lui criant»)] di torcerli per farne uscire l’acqua.
[...]
[Wilherm] prese l’estremità del lenzuolo funebre che una delle morte gli presentava, avendo però cura di torcere dalla stessa parte di lei, perché aveva appreso dai suoi vecchi che quello era il solo modo di non restare schiacciato [4].
Mentre il lenzuolo girava così, ecco però altre lavandaie circondare Wilherm, che riconobbe in esse sua zia e sua moglie, sua madre e le sue sorelle. E tutte gridavano:
– Mille sventure a chi lascia i suoi bruciare all’inferno! Mille sventure!
E scuotevano le lunghe chiome, alzando in aria le loro palette [5] bianche, e, in tutte le douéz della valle, lungo tutte le siepi, sopra tutte le lande, innumerevoli [6] voci ripetevano:
– Mille sventure! Mille sventure!
Wilherm, fuori di sé, sentì drizzarsi i capelli sulla testa; nel suo turbamento scordò la precauzione presa fino a quel momento e cominciò a torcere il lenzuolo dall’altro lato. In quello stesso istante il lenzuolo gli serrò le mani come una morsa, e il giovane cadde schiacciato [7] dalle braccia di ferro della lavandaia. [8]
Il suo cadavere venne ritrovato all’alba da una fanciulla di Henvik (Finistère); fu successivamente caricato su un carretto con accanto delle candele benedette che però non rimanevano accese: da ciò si capì che Wilherm era dannato. Pertanto non venne deposto all’interno del cimitero parrocchiale, bensì «dove si fermano i cani e i miscredenti», sotto l’échalier [9], cioè il passaggio, provvisto di gradini, nella cinta in pietra che delimita i complessi parrocchiali bretoni (enclos paroissiaux).

In Celle qui lavait la nuit, leggenda raccolta da Le Braz, la protagonista-vittima del racconto, Fanta Lezoualc’h, da Saint-Trémeur, un sabato sera, rientrata a casa dopo il lavoro bracciantile, decise di andare al fiume a lavare le camicie del marito e dei figli, cosicché fossero asciutte per la messa cantata del mattino.
Al fiume, presa dal suo lavoro, non si accorse dell’arrivo di un’altra lavandaia.
Questa era una donna dalla figura sottile, snella come una cerva, e che portava sul capo un enorme fardello di biancheria così allegramente come si fosse trattato di un fagotto di piuma.
– Fanta Lezoualc’h, disse, tu hai tutto il giorno per te; non dovresti prendere il mio posto, la notte.
Fanta sobbalzò per lo spavento, poi riuscì a balbettare che era pronta a cederle il posto. Allora la donna replicò che aveva solo scherzato e che era anzi disposta ad aiutarla a lavare la biancheria. Fanta acconsentì, e un po’ prima delle dieci la Maouès-noz la convinse a tornarsene a casa, e a cenare tranquilla:
– Non sarete ancora al terzo boccone che vi avrò riportato la biancheria, bianca come si deve.
A casa, Fanta raccontò al marito quanto le era accaduto; l’uomo capì subito chi la moglie avesse incontrato quella sera al fiume:
– Sventurata! Tu hai accettato l’aiuto di una maouès-noz!
L’uomo comunque conosceva il rimedio:
– Finite la cena, [...] poi riponete accuratamente tutti gli utensili che sono sul focolare. Soprattutto appendete il treppiede al suo posto. Spazzerete quindi la casa, in modo che la superficie sia pulita; metterete la scopa in un angolo, a testa in giù. Ciò fatto, lavatevi i piedi, gettate l’acqua sui gradini della soglia, e andate a letto. Ma siate lesta.
La moglie seguì tutte le indicazioni suggerite dal marito; non appena si fu cacciata nel letto, si sentì battere alla porta: era la Maouès-noz. Questa chiese invano per tre volte che le venisse aperto.
Allora si udì all’esterno levarsi un gran vento. Era la collera della Maouès-noz.
– Poiché non c’è cristiano che mi apra, urlò una voce furiosa, treppiede, vieni ad aprirmi!
– Non posso, sono appeso al mio chiodo, rispose il treppiede.
– Vieni allora tu, scopa!
– Non posso, mi hanno messa a testa in giù.
– Vieni allora tu, acqua dei piedi!
– Ahimè! guardami, non sono più che qualche schizzo sui gradini della soglia.
Il grande vento cessò subito. Fanta Lezoualc’h sentì la voce furiosa allontanarsi borbottando:
– La «cattiva moneta»! Può rallegrarsi di aver trovato uno più saggio di lei per istruirla a dovere! [10]
Come si legge in Le Roux - Guyonvarc’h, in questo secondo racconto, a differenza de Les Lavandières de nuit, non vi è riferimento ad alcuna «morale cristiana. Il “paganesimo” della femme de nuit è senza dubbio sottinteso ma non si manifesta molto se non attraverso l’aspetto malefico della creatura soprannaturale.»
Riguardo all’insieme dei documenti folclorici bretoni sulle lavandières de nuit, riportati o presi in considerazione nel loro lavoro, i due Autori possono alla fine trarre alcune fondamentali conclusioni:
Il racconto mitico è perduto irrimediabilmente e la cristianizzazione ha avuto come conseguenze:
– l’anonimato della divinità [la dea celtica della guerra] ridotta al nome della funzione, abbastanza modesta, che le è stata conservata;
– la trasposizione dell’azione in una atmosfera, sia cristiana di castigo e penitenza, sia di timore dei morti tornanti [«des revenants»], essendo comuni nell’interpretazione popolare l’una e l’altra possibilità.
In tutti i folclori celtici, i fatti segnalati in nota da Le Braz concordano. La lavandaia di notte bretone è in effetti una sopravvivenza, dimenticata e attenuata, della dea celtica della guerra. [11]


[1] Un «figlio dell’angelo nero», vale a dire del diavolo [É. Souvestre (2000): 103; Gw. Le Scouëzec (1986): 270 (nota)].

[2] Douéz: ‘fossato’ > ‘lavatoio’.

[3] É. Souvestre [(2000): 107, nota 2] riproduce in nota il ritornello originale:
Nous avons changé peu de chose au breton.
Quen na zaui kristen salver
Rede goëlc’hi hou liçer
Didan an earc’h ag an aër.
C’est-à-dire :
Jusqu’à ce qu’il ne vienne chrétien sauveur
Il nous faut blanchir notre linceul
Sous la neige et le vent.
[4] Nel testo di Souvestre: brisé (‘spezzato, rotto’) [É. Souvestre (2000): 108].

[5] Nel testo di Souvestre: battoirs (battoir o palette = ‘mestola da lavandaia’) [É. Souvestre (2000): 108].

[6] Nel testo di Souvestre: des (‘delle’) [É. Souvestre (2000): 108].

[7] Nel testo di Souvestre: broyé (‘stritolato’) [É. Souvestre (2000): 108]. Broyé è il termine usato anche in A. Le Braz (1990): t. II, p. 205, a proposito della fine che avrebbe fatto un giorno un tale, sarto, qualora non fosse riuscito a «se garantir des maléfices» di un revenant.

[8] Gw. Le Scouëzec (1986): 37-8; É. Souvestre (2000): 107-8.
Ho sostituito in genere i segni d’interpunzione stampati in Gw. Le Scouëzec (1986), con quelli riprodotti nella riedizione del 2000 de Le Foyer Breton [É. Souvestre (2000): 102-9].

[9] In Gw. Le Scouëzec (1986): 38, la traduttrice rende échalier con «soglia», il che mi pare, francamente, riduttivo. In Gw. Le Scouëzec (1989): 20-1, l’A. ritiene che le lastre verticali non servissero ad impedire agli animali di entrare nel cimitero (le bestie domestiche — innanzi tutto i cani — un tempo circolavano più o meno liberamente all’interno dell’enclos), bensì a delimitare l’area sacra senza alcuna interruzione della cinta.

[10] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 84-6; A. Le Braz (1990): t. II, pp. 234-9.
Sulla collera e il vento sollevato da anime di dannati: A. Le Braz (1990): t. II, pp. 205-6.

[11] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 87.
Le note 1 e 2, apposte alla storia di Fanta Lezoualc’h [A. Le Braz (1990): t. II, pp. 238-9], dovrebbero essere di G. Dottin, non di Le Braz. Vi si accenna a credenze-racconti, rispettivamente, di «revenants» irlandesi, fate irlandesi e scozzesi, e di «lavandaie» delle Ebridi e banshees.
In J. Berthou (1993): 11-2, si osserva che le «versioni molto simili» della leggenda riferite da Luzel e Le Braz sono «due versioni spogliate di ogni carattere religioso in cui si manifesta il potere magico delle Lavandaie». Si può tuttavia individuare un accenno a credenze cristiane in una frase pronunciata dal marito della protagonista-vittima del racconto di Luzel [→ 4ª parte]: «cette femme [una lavandière de nuit] ne vient pas de la part de Dieu mais de la part du diable!» [J. Berthou (1993): 47].

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