Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







lunedì 7 marzo 2011

Le kannerezed-noz. 14ª parte



Le «lavandaie» in altre regioni della Francia

Nel Catalogo della mostra Les Lavandières de la Nuit, nella Présentation Jean Berthou rileva che la credenza nella leggenda delle «lavandaie» è in Francia «una delle più diffuse»: la si ritrova nell’Alvernia, nel Limusino, nell’Autunois, nel Nivernese, nel Berry, vale a dire in diverse regioni centrali della Francia, ma anche in Normandia. Non potendosene occupare più di tanto in una pubblicazione riguardante la Bretagna, Berthou inserisce accanto ai documenti folclorici bretoni due testimonianze significative provenienti rispettivamente dal Berry e dalla Normandia.

La prima fa parte di una raccolta di dodici leggende, pubblicata nel 1858 con il titolo di Légendes Rustiques, composta da George Sand mettendo assieme testi già apparsi tra il 1851 e il 1852 nella rivista “L’Illustration”.
Vi si narra delle Laveuses de Nuit ou Lavandières, «anime di madri infanticide» che di notte battono e torcono senza sosta i cadaveri dei figlioletti indesiderati che appunto loro stesse hanno ucciso — ecco dunque la gravissima colpa che nella storia di Jeannic C. (Cadic) si può “leggere tra le righe”. Era possibile incontrarle presso pozze, sorgenti o fontane; non le si doveva osservare né disturbare, per evitare di essere afferrati, battuti e strizzati.
George Sand riferisce di aver udito più volte la notte i colpi delle mestole da bucato, e di aver scoperto che si trattava in realtà del rumore fatto da una particolare specie di rana, non dalle «terribles sorcières» [→ 5ª parte]. Tale appellativo la Scrittrice adopera ancora — «sorcières des lavoirs» — nel riportare il racconto fattole da un amico, di un incontro con una «lavandaia» avvenuto attorno alle undici di sera: era una vecchia donna, sconosciuta, che non rispose alle sue parole, che lavava e torceva presso una fonte ghiacciata, alla luce brillante della luna [1].
È certo che si tratta di anime dannate dotate di corporeità: il termine stesso di «sorcière» rinvia a un essere femminile malefico in relazione con il demonio (si pensi all’espressione, incontrata più di una volta: «de la part du diable»). Un’ulteriore conferma la si ha dal breve testo, premesso alla leggenda, scritto dal figlio di George, Maurice Sand (il cui vero cognome era Dudevant) [2], testo in cui le «laveuses» son dette «spettri di cattive madri che sono state condannate a lavare, fino al giudizio finale, le fasce e i cadaveri delle loro vittime».
 
La seconda testimonianza, la leggenda normanna Les Lavandières de Nuit, è un racconto adattato per i giovani da Madame de Witt (nata Guizot) e pubblicato per la prima volta, a quanto pare, da Amélie Bosquet nel 1845, nella sua opera La Normandie romanesque et merveilleuse. Traditions, légendes et superstitions.
Vi si narra di una ragazza che, vinta la resistenza della madre morente, alla quale comunque promette di rientrare entro la mezzanotte, si reca alla festa di Saint-Loup a Crèvecoeur, accompagnata dal suo servitore, Tranquille. Nel piacere della danza però, non si accorge del trascorrere del tempo, finché ad un certo punto si rende conto che la mezzanotte è passata da un bel po’. Allora i due si allontanano in gran fretta e prendono una scorciatoia che attraversa prati e boschi. Ad un tratto, giungono all’estremità di un fossato presso un boschetto: qui vedono alcune lavandaie intente a battere (presumibilmente della biancheria) con la mestola e guidate da Mademoiselle de Plénefort, «danzatrice infaticabile che, per il piacere, aveva tutto sacrificato».
Si tratta dunque di un gruppo di «fantasmi», che scorgono i due e poi trascinano nella «danza funebre» la ragazza. Per fortuna Tranquille conosce la «formula magica»: «Nel nome della Santa Trinità, lasciate passare la mia promessa». Così quei fantasmi scompaiono e la storia può terminare con il lieto fine, ossia con l’annuncio di matrimonio dei due giovani. Diversamente, si può ipotizzare che sarebbe finita male per la ragazza, forse con la sua stessa morte, poiché mi pare ammissibile vedere in quei «fantasmi» femminili delle anime dannate.
 
Altri elementi informativi sulle credenze normanne relative alle «lavandaie» sono riferiti, nella Présentation, da Jean Berthou, il quale utilizzando gli scritti di Amélie Bosquet e A. Madelaine (un autore successivo), evidenzia come le testimonianze oscillino tra due poli, quello delle «fate» e quello dei «revenants». In alcuni casi si tratta di «Femmes Blanches» o «Dames Blanches»: «spettri» dall’aspetto femminile che sorprendono di notte i viandanti smarritisi, ma risparmiano le partorienti — va sottolineata l’importanza di questo motivo (associabile a quello delle «madri di famiglia numerosa») che si contrappone in qualche modo alla gravità della soppressione dei figli non voluti —; «possono essere assimilate alle fate maghe [fées magiciennes] di cui non sono che delle degenerazioni fantastiche». In altri casi si tratta di «revenants» tipici, cioè di anime del purgatorio: «si riconoscerà qui — rileva Berthou — un tratto comune con la versione di Souvestre» [3].
 
Per quanto concerne altre aree della Francia, come s’è accennato nella “5ª parte”, si trovano notizie sulle «lavandaie di notte» ne Le folk-lore de France di Paul Sébillot, che ha rilevato una quindicina [4] di esempi nel capitolo V del II tomo (Les eaux dormantes) [5], esempi che ripropongo qui di seguito.
 
• «A un lavatoio presso Oberbronn, in Alsazia», le lavandaie che lo frequentavano di notte potevano vedere una «dama bianca», la quale, in silenzio, lavava delle camicie che si credeva fossero quelle dei morti: «la sua apparizione presagiva la morte di un membro della famiglia di una delle lavandaie» [«Aug. Stœber. Die Sagen des Elsasses, nº 260»] — cfr. L’intersigne de «l’étang» (Le Braz) [→ 7ª parte].
• Si sentiva talvolta in alcuni luoghi la mestola di «lavandaie di notte» dalla natura «abbastanza mal definita» e che non si potevano vedere: sulle rive della Mare Branlante a Nercia (Franche-Comté), presso lo stagno della Haye [Brie] e quello di Maillebois (non lontano da Dreux [nella Région Centre] [«Ch. Thuriet. Trad. de la Haute-Saône, p. 256»; «Ladoucette. Usages de la Brie, p. 448»; «Félix Chapiseau. Le Folk-Lore de la Beauce, t. I, p. 76»].
• Nel Berry delle lavandaie battono e torcono incessantemente: si tratta delle madri infanticide di cui racconta George Sand nella leggenda Laveuses de Nuit ou Lavandières [«George Sand. Légendes rustiques, p. 30»] — cfr. le madri infanticide d’Ille-et-Vilaine (P. Sébillot) [→ 5ª parte]. Delle altre lavandaie lavano qualcosa che sembra «una specie di vapore di un colore livido, di una trasparenza spenta», un qualcosa che assume «qualche apparenza di forma umana» e sembra piangere e vagire «sotto i colpi violenti delle mestole»: si crede siano anime di bambini morti senza battesimo o di adulti deceduti prima di esser stati cresimati [«Laisnel de la Salle. Croyances du Centre, t. I, p. 123-125»] — cfr. le lavandaie dei dintorni di Dinan (P. Sébillot) [→ 5ª parte].
• Al lavatoio della Font-de-Fond (Indre [nella Région Centre]), prima dell’alba, un mezzadro riconobbe l’immagine del figlio, morto l’anno prima cadendo da un albero, in «un oggetto livido e impalbabile» che una donna, in compagnia di altre due, gli porse invitandolo a torcere [«Laisnel de la Salle. Croyances du Centre, t. I, p. 123-125»].
• Nella Creuse [Limusino] alcune lavandaie «sono condannate a lavare, al chiaro di luna e in pozze stagnanti, della biancheria che assomiglia a cadaveri di bambini, e che non diventerà mai bianca» [«Bonnafoux. Légendes de la Creuse, p. 29»] — cfr. le lavandaie dei dintorni di Dinan (P. Sébillot) [→ 5ª parte].
• Nell’Anjou [Pays de la Loire] una fattora è condannata a lavare in eterno nel luogo in cui da viva aveva fatto il bucato di domenica [«A. Le Marchand. Une excursion dans le pays des Mauges, p. 12»] — non vien detto se di giorno o di notte; cfr. le donne che hanno lavato di domenica in Alta Bretagna (P. Sébillot) [→ 5ª parte].
• In Touraine chi lava il 25 marzo («jour de la Notre-Dame») sarà costretta a tornare a farlo tutti gli anni alla stessa epoca e allo stesso lavatoio fino alle prime luci dell’alba [«Léon Pineau, in Rev. des Trad. pop., t. XIX, p. 430»].
• Nel Berry, sia pure abbastanza raramente (giacché di solito compiono il loro lavoro in silenzio), le «revenantes du lavoir» fanno sentire «un canto sordo e monotono, triste come un De Profundis» [«Laisnel de la Salle. Croyances du Centre, t. I, p. 123»].
• Nella Bassa Normandia vi sono le Mille-Lorraines (o Villes-Lorraines), «donne-fate» vestite di bianco, che di notte cantano «in ginocchio sulla pietra levigata dei lavatoi»; «fermano presso i gradini il viandante attardato che entra nel prato ove è situato il lavatoio che esse frequentano, e lo costringono a strizzare la loro biancheria; se lo fa male, gli rompono le braccia» [«Barbey d’Aurevilly. Une vieille maîtresse, Paris, 1857, in-18, p. 266»].
• Nel Poitou, una donna recatasi al lavatoio prima dell’aurora, vi trovò una «lavandaia dell’altro mondo», per cui fuggì prima che questa potesse rivolgerle la parola [«Léo Desaivre. Le Monde fantastique, p. 10»] — cfr. la storia di Jeannic C. di Brennilis (Cadic) [→ 4ª parte], Les Lavandières de Nuit e La Lavandière des Noes Gourdais (P. Sébillot) [→ 5ª parte].
• Un ragazzo, passando «vicino a una fossa rotonda in un prato dell’Indre» [Région Centre], luogo di incontro delle «lavandaie di notte», si rivolse a una donna che lavava pensando fosse una vecchia vicina: «subito una sorta di grande donna di colore rossiccio si lanciò su di lui avvolgendolo di panni insanguinati» — cfr. la storia di Jeannic C. di Brennilis (Cadic) [→ 4ª parte], per il particolare dei panni insanguinati. In altri casi queste lavandaie — soggiunge P. Sébillot — «afferrano l’imprudente, lo battono nell’acqua e lo torcono né più né meno che un paio di calze» [«Maurice Sand, in Rev. des Trad. pop., t. II, p. 524 ; George Sand. Légendes rustiques, p. 31»].
• In Vandea, chi percorrendo un argine di stagno la sera del Venerdì santo si ferma ad ascoltare le «lavandaie nere», resta affascinato e al tempo stesso terrorizzato dal battere regolare di una mestola. Quando ad un tratto il rumore cessa, tre donne lo circondano, gli dicono: «Il tuo lenzuolo ti attende!» e lo gettano nello stagno. «Tre giorni dopo il lenzuolo lo avvolge» [«G. de Launay. in Rev. des Trad. pop., t. V, p. 353»] [6] — queste «lavandaie» risultano dunque (anche) annunciatrici di morte.
• Sulle rive dello stagno di Roc-Reu (Calvados [Bassa Normandia]), attorno alla mezzanotte lavavano gemendo uno o più «grandi spettri avvolti da lenzuoli». Se il mugnaio rivolgeva loro la parola, gli dicevano: «Percorri la tua strada, ti perdono». Ma se diventava importuno, impaurivano le sue mule. Una sera il mugnaio volle vendicarsi e agguantò alla vita uno degli spettri, ma questo l’annegò nello stagno [«A. Madelaine, in Rev. des Trad. pop., t. XVII, p. 136-137»] — cfr., per l’affogamento, il passo di Cambry [→ 2ª parte].
• Le lavandaie che invitano i viandanti ad aiutarle sono rare nel Berry. Invece nell’Autunois si conoscevano lavandaie che lavavano i lenzuoli dei morti e «obbligavano i contadini a torcerli assieme ad esse»: i malcapitati venivano ritrovati la mattina successiva svenuti e con le braccia storte [distorte?], ma non tutti sopravvivevano all’avventura [«Léon Marillier, in Le Braz. La Légende de la Mort, 1re édition, p. 380, note»] — cfr. il testo di Erwan Berthou [→ 8ª parte].
• Nella Svizzera romanda le Gollières à Noz, lavandaie di notte dall’aspetto di belle ragazze ma malvagie, fanno il bucato al chiaro di luna presso fontane e stagni solitari; «invitano i viandanti ad aiutarle, ma se questi, per distrazione, torcono all’incontrario, esse gli torcono il collo» [«A. Ceresole. Légendes des Alpes vaudoises, p. 72»] [7] — cfr. Les lavandiéres de nuit de Pont-ar-Goazcan (Luzel) [→ 4ª parte] e Les Lavandières de nuit (E. de Cerny) [→ 8ª parte].
• In un villaggio di Vaucluse [Région Provence-Alpes-Côte d’Azur], si raccontava che in un certo luogo si vedevano delle lavandaie di notte. La guardia campestre vi si recò e scorse «due forme bianche che strizzavano della biancheria», alle quali intimò di cessare il loro lavoro. Ma una lavandaia gli gridò di darle una mano, mentre l’altra lo prese per il bavero e gli ordinò: «Torci!». Egli lo fece fino all’aurora, quando le lavandaie se ne andarono. Durante la giornata si venne a sapere di un grosso furto commesso in un castello vicino: poiché la biancheria era sporca, i ladri s’erano messi a lavarla dopo essersi camuffati con una vestaglia bianca, «contando sulla superstizione del paese per non essere disturbati» [«H. Vaschalde. Croyances et superstitions du Vivarais, p. 14»].
 
A queste testimonianze vanno aggiunte quelle relative alle «lessives merveilleuses» fatte di notte lungo i fiumi [8]. Si tratta in alcuni casi del bucato notturno di revenantes:
• alla Souterraine [Limusino], all’una del mattino del Corpus Domini si udiva un battere di mestole sulle rive del fiume, attribuito a giovani annegatesi per una piena improvvisa [«A. de Chesnel. Dict. des superstitions, col. 541-545»] — cfr. la testimonianza relativa a Calorguen (P. Sébillot) [→ 5ª parte];
• nei Vosgi [Lorena] delle donne morte lavano i loro lenzuoli nei ruscelli: si crede che chi parla loro morirà nel corso dell’anno [9] [«Charles Sadoul, in Rev. des Trad. pop., t. XIX, p. 89»];
• ogni sette anni, a mezzanotte, una «dama bianca» lavava i suoi abiti nella Sarre ad Abreschwiller (Meuse) [Mosella, nella Lorena] [«Ph. Salmon. Dict. arch. de l’Aube, p. 48»].
 
In altre regioni o paesi le lavandaie notturne appaiono altresì come fate [10]:
• le fate dei Pirenei, del Poitou, del paese della Hague, del Bocage normanno [Bassa Normandia] (e dell’Ille-et-Vilaine) facevano il bucato la notte; quelle che stendevano i lenzuoli su una pietra piatta nel mezzo del letto della Druance, si sentivano battere ma non si vedevano [«Vidal. Guide des Pyrénées orientales, p. 505 ; Rev. des Trad. pop., t. VI, p. 570 ; P. Bézier. Mégalithes de l’Ille-et-Vilaine, p. 239 ; J. Fleury. Litt. orale de la Basse-Normandie, p. 55 ; J. Lecœur. Esquisses du Bocage normand, t. II, p. 427»];
• un ruscello del Vivarais [Région Rhône-Alpes], presso Montréal, ha nome lou Vola de los fados ‘il ruscello delle fate’; di esse si può sentire a mezzanotte il rumore delle mestole e vedere la biancheria stesa ad asciugare al chiaro di luna [«H. Vaschalde. Sup. du Vivarais, p. 15»].
 
In vari luoghi della Provenza invece (sulle rive di fiumi quali il Gapeau, l’Argens, il Var) «si parla di masche o streghe» dall’aspetto di graziose ragazze che di notte fanno il bucato; ridono, cantano e cercano di attirare i viandanti attardati, per farli danzare fino alla morte o spingerli nell’acqua [«Bérenger-Féraud. Superstitions et survivances, t. II, p. 7»]. Si tratta forse — ipotizza P. Sébillot — di fate demonizzate [11].

 
[1] Forse l’episodio si svolse durante la stagione autunnale: ricordando le sue personali esperienze, ­la Sande tratteggia un brumoso paesaggio novembrino come sfondo delle apparizioni delle «terribili streghe».
 
[2] Probabilmente Maurice, che ha illustrato con disegni quella raccolta e altre opere della madre, aveva composto quel breve testo come didascalia al disegno (e alla litografia trattane) scelto per Les Laveuses de Nuit.
 
[3] Sulle due leggende: J. Berthou (1993): 12-3, 68-72.
 
[4] Su 32 esempi rilevati nel capitolo V, 24 provengono dalla regione dell’Ovest (Bassa Bretagna 8, Alta Bretagna 9, Poitou 2, Normandia 3, Touraine 1, Anjou 1), 6 dal Centro (Berry 4, Marche [Creuse, Indre] 2), 2 dall’Est (Svizzera Romanda 1, Alzazia-Lorena 1) [P. Sébillot (1968): 431].
 
[5] P. Sébillot (1968): 424-31.
 
[6] In un capitolo precedente, P. Sébillot riferisce che «gli stagni delle parti basse delle dune di Noirmoutier» [Vandea] «sono frequentati da delle lavandaie di notte» le quali rompono le braccia ai viandanti che le aiutano e «li portano non si sa dove» [P. Sébillot (1968): 102-3].
 
[7] Sulle Gollières, cfr. quanto scrive Maria Savi Lopez: «le gollières a noz, o lavandaie di notte, sono bellissime fanciulle ma perfide ammaliatrici. Esse al chiaror della luna lavano vicino alle fontane isolate. Se chiedono aiuto ad una persona che passi, bisogna usare molta attenzione per contentarle ed evitare d'incorrere nel loro sdegno» [M. Savi Lopez (1889): 337-8].
 
[8] P. Sébillot (1968): 351-3.
 
[9] Come riferisce A. Le Braz, in Scozia si credeva che per aver parlato a un fantasma si potesse morire. Anche in Bretagna si raccomandava di non interpellare i morti [A. Le Braz (1990): t. II, pp. 204, 220 e t. I, p. 416].
 
[10] Le «lessives macabres» risultano assai rare nell’Occitania [P. Sébillot (1968): 431].
 
[11] Sono masche, vale a dire ‘streghe’, anche le lavandaie della leggenda Le lavandaie del mulino di Cossila, narrata da Virginia Majoli Faccio ne L’incantesimo della mezzanotte [V. Majoli Faccio (1940): 178-80 e (1957): 176-8.].
Si tratta di «tre belle e giovani donne» che di notte lavano i panni alla «“rôgia” (canale) del mulino di Cossila» e, «suadenti», invitano i viandanti ad aiutarle a torcere le lenzuola.
Una notte d’estate «passò ben vicino alla “rôgia” uno che era forestiero e perciò ignorava la sinistra fama del luogo».
La luna splendeva... Tre belle e giovani donne, inginocchiate sulla sponda erbosa, lavavano al canale cantarellando una canzone d’amore.
Il forestiero, affascinato dalla bellezza delle giovani, si fermò a conversare:
– Anche di notte, belle, attendete al lavoro?
Ambigua fu la risposta:
– Anche... è anzi di notte che noi “lavoriamo meglio”.
Una giovane quindi chiese all’uomo, con successo, di aiutarla a strizzare il suo lenzuolo bagnato:
La donna resse il lenzuolo da un capo, l’uomo dall’altro, e cominciarono a spremerlo.
– Su forza, torci – invitava la lavandaia, mentre le altre due bofonchiavano:
– Belzebù, belzebù, presto avrai l’anima sua!
– Non hai forza? Ma su, dunque...
– È quello che sto facendo, ragazza, ma di mano in mano che io do uno strizzone, sento come una mano che lo dà al mio collo.
All’ultima strizzata, «il giovane avvertì un laccio formidabile ed invisibile serrarglisi attorno al collo»:
– Aiuto! soffoco, muoio! – urlò e cadde a terra esanime.
La Majoli Faccio, nella sua "trascrizione", ha senza dubbio accentuato ripetutamente la soavità incantevole della voce e della figura delle tre giovani e l’incanto dei luoghi e della notte d’estate [sulle leggende «rinarrate in stile enfatico» dal trascrittore, si veda G. L. Beccaria (1987): 34]. Comunque la leggenda è delineata nelle sue componenti folcloriche fondamentali: le belle e giovani lavandaie notturne; il lenzuolo da torcere; l’uccisione della vittima per soffocamento — attraverso una stretta che grazie ai poteri diabolici posseduti dalle masche passa, per una specie di connessione analogica, dal lenzuolo strizzato al collo del malcapitato viandante.
Ciò che qui è diverso in modo più manifesto, è la natura degli esseri ostili: sono streghe, non anime di trapassati; streghe il cui scopo è di procurare nuove anime a Belzebù.
È però vero che le masche, protagoniste di tanta tradizione popolare piemontese e soprattutto biellese, non sono spesso distinguibili dalle fate (come testimoniano anche l’alternanza in alcuni toponimi: Piani delle Streghe, Rocce delle Masche, Grotte delle Fate, o la compresenza di masche e anime dannate in qualche località): «appartengono entrambe al mondo del magico, entrambe sono ombrose e vendicative» [T. Gatto Chanu (1989): 29 (nota 34)]. E si deve ancora tener presente che al sabba si mescolano anche anime dannate [cfr. T. Gatto Chanu (1989): 32] e che se gli spettri si fanno vedere e sentire di notte, lo stesso fanno le fate.
Nel complesso, le masche del Mulino di Cossila, in quanto esseri maligni, assomigliano per alcuni tratti alle «lavandaie» bretoni — spettri di dannati —, per altri alle streghe — donne maligne. Inoltre non sono le uniche figure di lavandaie notturne della tradizione biellese (piemontese e alpina): si posson qui menzionare la «diabolica lavandaia» di Zumaglia [che stende il bucato «nelle giornate temporalesche», cfr. V. Majoli Faccio (1940): 76-7 e M. Savi Lopez (1889): 337], gli Arfai della Valle di Susa e i Jafè del Biellese [cfr. V. Majoli Faccio (1940): 198-9]; nessuna di queste figure fantastiche è una strega, si tratta invece di esseri fatati o spiriti.

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