giovedì 26 aprile 2012
Sappada/Plodn. Quarta parte
Secondo l’ipotesi etimologica più conosciuta o condivisa [1] (specie dai linguisti), come s’è accennato nella Terza parte, Sappada (comeliano Sapadä, friulano Sapade) — Sapata nel 1295, 1318, 1334; Sapada nel 1308, 1388; Sappada nel 1347, 1392; Sappada e Sapada nel 1296, 1308 — sarebbe invece un toponimo derivato dal dialettale sapàr ‘zappare’: corrisponderebbe all’italiano zappata ‘colpo di zappa; lavoro fatto con la zappa; zappatura veloce’, al veneto sapada, zapa(da) ‘zappata’ [2], al friulano sapàde ‘l’atto di zappare’ (sapâ, zapâ ‘zappare’; cfr. sapà nel 1361, Cividale, e nel 1382, 1385, Udine; sapador nel 1401, 1416, Udine [3]), e alluderebbe a un (buon, o ampio) terreno da zappare [4].
A tal riguardo, H.-D. Pohl precisa: «Il nome Sappada [...] si riconduce al romanzo zappare ‘dissodare (e precisamente con lo zappin, una zappa da boscaiolo con lama ricurva)’ e si riferiva all’inizio alla parte orientale del luogo, situata più in alto, quella che oggi — con forma germanizzata derivata da Sappada — si chiama Zepoden [tsepóudn], in ital. Cima Sappada, dall'ital. Sappada o dal friul. s-/zappada[5] < romanzo zappata “Holzschlag”, nome di terreno dissodato, cfr. l’ital. zappare, il friul. sapá “dissodare”». [6]
«Holzschlag» dovrebbe valere ‘taglio d’alberi’, quindi qui Pohl pare confondere, almeno in parte, le azioni di zappare, sarchiare — sono questi i significati di base del friul. sapâ — e dissodare (usando la zappa), con le attività dei boscaioli che, tagliati/abbattuti gli alberi, usano lo zapìn per sollevare, trascinare, far scendere/scivolare i tronchi [7]. Rimane comunque il fatto che una superficie su cui gli abeti sono stati tagliati/abbattuti (Holzschlag), deve poi esser liberata dalle ceppaie e adeguatamente dissodata (sappada), allo scopo di ricavarne sia uno spazio edificabile sia orti, campi e/o prati.
Sulla possibile derivazione del toponimo «dal friul. s-/zappada», fermo restando che attualmente nel friulano centro-orientale — «il friulano comune, varietà letteraria e ufficiale» [8] — il termine in esame ha la forma sapade, va detto che una tale origine risulta essere verosimile come ipotesi, proprio sulla base delle informazioni storico-linguistiche, sia pur limitate, relative al periodo medievale di fondazione del paese di Sappada.
Nei documenti e nei testi poetici, perlopiù del XIV secolo (specie la seconda metà) e provenienti soprattutto da Cividale e Gemona (ma anche Artegna), i quali contengono le prime testimonianze rilevanti di friulano a noi pervenute, appare una certa qual oscillazione vocalica nella terminazione dei nomi femminili singolari: si incontrano parecchie -a, accanto alle -e e alle -o [9].
Quindi è probabile che in ambito patriarcale, nella sede di Udine, subentrata a quella di Cividale nel 1238, si siano usate, nei documenti di fine XIII e inizi XIV secolo, le varianti Sapata, Sapada e Sappada, adattate almeno in parte al latino cancelleresco, riproducenti da vicino la forma originaria del toponimo, che possiamo a ragione immaginare fosse il corrispettivo duecentesco-trecentesco dell’attuale friul. Sapade. Quindi un Sapada forse già pronunciato con un suono vocalico -å almeno dagli abitanti della Carnia, in particolare da quelli dell’alto Canale di Gorto, cui si potrebbe attribuire quella denominazione per il pianoro dell’odierna Cima Sappada — a Forni Avoltri si ricorda la forma locale Sapado usata, credo, fino a mezzo secolo fa. A meno che il nome non sia stato dato da qualche rappresentante del patriarca, parlante una varietà di friulano, giunto sul luogo forse per constatarne le effettive condizioni geografico-ambientali. Senza poter del tutto escludere che Sapada sia d’origine comeliana o cadorina.
Va qui sottolineato che spesso non siamo a conoscenza della precisa forma e/o del significato dei termini usati in epoca medievale. E ciò vale anche per la voce sapada e il valore che a questa andrebbe attribuito: improbabili quelli di ‘terreno che un uomo può zappare in un giorno’ e di ‘buon terreno zappativo’, anche perché Sappada deve avere avuto terreni duri da lavorare e tutto fa pensare piuttosto ad un ambito di bosco/terreno dissodato che non di campi/orti zappati (eventualmente di prati di montagna zappati) — come si deduce anche dall’interpretazione di H.-D. Pohl sopra indicata.
Non si sa inoltre se la località Sapada delle origini sia stata chiamata così prima o dopo la zappatura-dissodamento. Forse l’area boschiva pianeggiante di Cima era già stata sfruttata dai Carnielli antecedentemente all’arrivo dei tedeschi; forse furono degli abitanti della Val Degano, innanzi tutto del territorio dell’attuale Forni Avoltri, a tagliare per primi (de)gli alberi lassù, e a battezzare Sapada quel pianoro, da cui, con possibile rotolamento e/o per mezzo di carri, facevano discendere i tronchi [10] lungo la Cleva[11] (tronchi che, almeno in epoca più recente, venivano trasportati per fluitazione lungo il Degano). È pertanto plausibile che la comparsa del toponimo Sapada possa aver preceduto quella di Zepaden/Zepodn, forma che parrebbe da quello esser derivata, e l’attribuzione di Pladen/ Plodn alla zona lungo il corso del Piave.
Il nome di Sappada, dunque, sarebbe stato dato inizialmente al pianoro o all’area su cui sorse l’abitato dell’attuale Cima Sappada - Zepodn. Qui nacque probabilmente il primo insediamento sappadino, sia per la conformazione pianeggiante sia per le relativamente ridotte dimensioni della superficie da (disboscare e) dissodare e poi abitare — da valutarsi approssimativamente, oggi, sui 18-19 ettari di terreno edificato, ma inizialmente di misura inferiore; meno adatta sarebbe risultata quindi una denominazione come Sap(p)ada per il lungo tratto parallelo al Piave —, sia per «la posizione favorevole, dominante la valle e immediatamente allo sbocco della Val Sesis» [12], e al tempo stesso al riparo da eventuali esondazioni del Piave.
Sappada va confrontato con i toponimi La Sapada e Valon de la Sapada, localmente Valón dla Sapàdä, a ovest di Pàdola (Comèlico Superiore, BL), con Sapade (Falcade, BL), nell’Alta Valle del Biois, con l’idronimo Rio Sapè (a NO di San Nicolò di Comelico, BL),con il nome di bosco Sapadìz (Ampezzo, UD) [13].
Guardando la “carta topografica per escursionisti” Dolomiti di Auronzo e del Comelico (foglio 017) della Casa Editrice Tabacco, l’area chiamata La Sapada risulta trovarsi a 1800-1850 m s.l.m., sopra e sul limite del bosco, davanti al Valon de la Sapada, un vallone erosivo sui 2000 e oltre metri di altitudine. Questa Sapada non sembra essere né esser stata un «terreno zappativo».
Nella Carta topografica con toponimi in ladino del Comelico Superiore [14] (sempre edita dalla Tabacco), La Sapada non è indicata, ma a N della sua area si incontrano, oltrepassati i Bùdi dal Pìntär (Buse del Pinter, cioè ‘buche del Pinter’ [15]), i Pras dla Sapàdä (Prati de la Sapada, a E del Còl di Bagni) e più a E i Bùdi dla Sapàdä (Buse de la Sapada), in prossimità dei quali scorre, verso N-O, il Gió dla Sapàdä (Rio de la Sapada). Inoltre, a partire grosso modo dal Lago di Campo è segnata come Str. dla Sapàdä il tratto di una strada (segnavia n. 51) che prosegue fino ai Pras dla Sapàdä.
Nella Toponomastica del Comelico Superiore a cura di Sergio Sacco [16], sono registrati solo due toponimi contenenti il nome Sapàda: Sapàda (o Bus dla Sapàda), «appezzamento di terreno prativo e bosco di abeti a oriente di Col dei Bagni», e Gió dla Sapàda, «affluente di destra del torrente Risena: ha le sorgenti presso Col dei Bagni». Sapàda viene spiegato etimologicamente come «Sapàda < sappata = terreno zappato» e «Sapàda < sappatoria = luogo zappato».
I toponimi racchiudenti il nome Sapàdä sono però quattro (cinque con il Valón dla Sapàdä). Calcolando le dimensioni delle aree in cui compaiono le diciture Pras dla Sapàdä e Bùdi dla Sapàdä, si arriva a un’estensione complessiva di all’incirca 36 ettari. In effetti non si comprende bene quale sia l’ampiezza da attribuire al luogo designato come (La) Sapada, che potrebbe esser stato ben più esteso dell’area occupata dall’abitato di Cima Sappada e ancor di più di quella di Sapade.
Secondo Dino e Gino Zandonella Sarinuto [17], di Dosoledo, i nomi di luogo di cui sopra potrebbero derivare dal toponimo Pras dla Sapàdä, riferito a una zona a prato che probabilmente veniva falciata «una sola volta all’anno» (prati d’alta montagna non concimati). Il significato di ‘zolla erbosa estesa’ attribuito da Francesco Zanderigo Rosolo al termine sapàdä [18] — significato che però non viene confermato da alcun’altra testimonianza [19] —, qualora fosse esatto, potrebbe valere proprio per la zona dei Pras.
Si potrebbe pertanto ipotizzare che (La) Sapada fosse anticamente un’area boschiva relativamente vasta, tra i 12 ettari (estensione approssimativa dell’area dei Pras dla Sapàdä) e i 36 ettari — quindi potesse anche non essere più ampia della zona abitata di Cima Sappada. E che, posta tra i 1500 e i 1750 metri di altitudine, sia stata dissodata con la zappa almeno alcuni secoli fa (forse già nel Medioevo?) [20], per ottenerne soprattutto «prati d’alta montagna» (comeliano pras), utilizzati come prati da fieno, che però in seguito potrebbero esser stati (gradualmente?) abbandonati, specie dopo un peggioramento climatico, e sui quali successivamente il bosco pare aver (ri)preso il sopravvento.
Germano De Martin Topranin, di Padola, ricorda [21] invece che la zona chiamata (La) Sapada, fino alla Prima Guerra Mondiale è stata un pascolo d’alta montagna, che venne abbandonato in seguito all’emigrazione. Nel passato era priva di alberi, perché abbattuti da slavine; in epoca più recente, a causa dei cambiamenti meteo-climatici, si è ricostituita probabilmente una fascia boschiva più in alto, che ha fatto da barriera alle slavine, per cui poi il bosco si è riformato su gran parte dell’area stessa.
Sulla base di tali informazioni, si dovrebbero dunque escludere le ipotesi che la Sapada comeliana secoli fa fosse un’area boschiva successivamente dissodata, e che, perciò, il suo nome derivi dal comeliano sapàdä, da sapà ‘vangare, zappare’ [22], cioè corrisponda a un sapada significante ‘zappata, terreno zappativo’ o ‘terreno dissodato’. Va altrettanto esclusa però una derivazione da un sapà = ‘calpestare’, in riferimento al calpestio dei bovini, che non risulta nell'attuale comeliano (potrebbe essere esistito nel passato?) [23].
Altre utili, se non risolutive, indicazioni e testimonianze mi sono state offerte dagli studiosi Giandomenico Zanderigo Rosolo e Piergiorgio Cesco Frare attraverso comunicazioni scritte personali.
A parere di G. Zanderigo, dei sei toponimi menzionati sopra racchiudenti il nome Sapàdä sono però solo tre quelli più attendibili, in quanto d’origine locale più antica e non ascrivibili ad esigenze cartografiche: La Sapàde, Pras dla Sapàde, Bus dla Sapàde. Si tratta complessivamente di un’area ripartita tra la Regola di Casamazzagno e il Comune di Calalzo (a questo appartengono i Pras dla Sapàde). Stando alla testimonianza di un calaltino, riferitami da Piergiorgio Cesco Frare, La Sàpada, localizzata «prima del Còl di Bàgni e dopo I Peronàt», era una «prenderéta», vale a dire un ‘piccolo pascolo giornaliero’.
Come mi è stato segnalato dallo stesso P. Cesco Frare, si chiama Ra Sapàda un tratto della strada fra Pocol e Passo Giau, nei pressi del Ru de ra Vèrjines (affluente del Rio Costeana). La denominazione Sapàda non avrebbe nulla a che vedere con lo zappare, inteso come ‘lavorare il terreno con la zappa’, bensì sarebbe da collegare al fatto che quel «tratto di strada è soggetto a frequenti franamenti da monte» (Illuminato De Zanna, Camillo Berti, Monti boschi e pascoli ampezzani nei nomi originali, Cooperativa di Consumo di Cortina, 1983, p. 164), o che in quel tratto «il terreno è smosso da acque affioranti dal vicino Ru de ra Vèrjines» (Lorenza Russo, Pallidi nomi di monti, 1994, p. 98). Quindi la voce sapada, in contesti ambientali alpini come quelli in esame, potrebbe riferirsi a una superficie franosa o smossa da acque o a un’area boschiva colpita da slavine, frane o anche venti impetuosi, con probabile allusione al suolo sconvolto, devastato, coperto di alberi abbattuti, ridotto quasi come un campo zappato.
Tale interpretazione pare vada bene per la Sapade comeliana, ma forse meno per il pianoro di Cima Sappada; però si può anche immaginare che, prima dell'arrivo degli antenati dei Sappadini, un qualche evento distruttivo sia potuto accadere.
Secondo G. B. Pellegrini, nel toponimo Sappade (Falcade) — attestazioni medievali: Sapado (1358), de Sappadis (1453) — si può forse ravvisare proprio un’allusione ad un ‘terreno zappativo’ [24] oppure una voce sapada ‘pezzo di terra che si zappa in un giorno’ [25]. A mia conoscenza però, non è documentata alcuna voce mediolatina *sap(p)ata con il valore di ‘superficie che si può zappare in una giornata’ o simile, corrispondente a quello di ‘superficie che si può falciare in una giornata’ attribuito al lat. medievale falcata (per G. B. Pellegrini potrebbe anche essere un neutro pl. designante un ‘ampio terreno falciativo’), da falcare ‘falciare’, da cui deriverebbe il toponimo Falcade (BL), localmente falčade, attestato: cum monte de Falcata [...] cum decimis ipsius montis Falcate (1185) [26].
La pronuncia locale Sopade (cfr. il blasone popolare «Volpàt Sopàde volponi da Sappade» [27]) fa pensare anche a una derivazione dal dial. sopa ‘zolla di terra’ [28]. Mi risulta però che attualmente a Falcade le voci corrispettive di zappa, zappata, zolla siano zapa, zapada, zopa, con l’affricata alveolare sorda iniziale (ts-). Inoltre la -a- pretonica delle attestazioni Sapado e Sappadis dovrebbe essere etimologica, mentre la chiusura in -o- sarebbe fenomeno più recente, come in altri casi di toponimi ladini.
Per la terminazione, Sappade si può confrontare anche con alcuni toponimi in -ade dell’Agordino: Brostolade (Falcade), Listolade (Taibon) — «ant. Ustoladis, Ustolatae» —, Cancellade (La Valle di Agordo) [29], e altresì con Roncà (VR) e Roncade (TV), rispettivamente dal lat. medievale (terra) runcāta ‘(terra) disboscata’ e (terrae) runcātae ‘(terre) disboscate’ [30].
Zappa viene ricondotto al latino medievale sappa, attestato in questa forma già nell’VIII secolo, nelle Glosse di Cassel [31], e poi anche nelle varianti sapa, zappa, zapa, sappis, e nel derivato sappare ‘lavorare la terra con la zappa’ [32].
Sull’origine di sappa sono state formulate varie ipotesi etimologiche:
a) da sapp-, rumore della zappa che colpisce il terreno;
b) da una voce illirica con z- iniziale e significante ‘caprone’, «per analogia di forma tra le due corna dell’animale e le due lame dello strumento» — ipotesi formulata da G. Rohlfs, da ritenersi priva di fondamento storico [33];
c) da zappo ‘caprone’ (attestato zappus nel 1366), di origine sconosciuta (G. Bertoni), o «dal grido di richiamo ciap-ciap» (G. Rohlfs e J. Hubschmid);
d) da una voce «mediterranea» (G. Devoto);
e) da un’antica radice *tsapp- ‘battere (la terra), zappare’ (J. Hubschmid) [34].
Secondo Mario Alinei invece, il latino popolare sappa [35] non avrebbe «nulla a che fare con il latino medievale (1366) zappus ‘caprone’, di origine sconosciuta», né con le altre voci sopra elencate. Trarrebbe invece origine da «un continuatore alto-italiano del lat. cippus», ‘ceppo’ (dell’albero), o meglio, da un femminile, non attestato in latino, *cippa, presupposto dalla forma ceppa, presente in vari dialetti, specie settentrionali (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, Toscana) [36].
Ceppa, nell’Italia settentrionale, avrebbe subito tre mutamenti fonetici: «(1) il passaggio della c- velare iniziale alla sibilante /s/; (2) lo scempiamento della doppia -pp-, generale a nord della linea La Spezia-Rimini; (3) l’abbassamento di /e/ neolatino tonico in posizione ad /a/, diffuso in una vasta area settentrionale e in Vegliotto». Si sarebbe dunque arrivati alla forma sapa ‘ceppo d’albero’.
Sul piano semantico, «il passaggio dall’iconimo {ceppo} a ‘zappa’» [37] si spiegherebbe col fatto che la zappa «risale, in ultima analisi, al “bastone da scavo”», ottenuto in genere dalla radice di un albero, e «ricordando poi che ‘ceppo’ e ‘radice’ dell’albero sono nozioni contigue»: cfr. il «tipo cioc(c)a ‘ceppo’», usato nell’Italia settentrionale anche con il valore di ‘zappa’ accanto al tipo sappa.
Il significato di ‘ceppo’ risulta molto antico, come è provato dalle voci celtiche e germaniche significanti ‘tronco, ceppo’: br. kef, cimr. cyff, ted. Kippe, Kipfe, medio ned. kep (‘Fussklotz’), a. basso ted. kip, svizzero ted. Tscheppach, e dal toponimo Ceppetum, probabile collettivo di cippus (cfr. «FEW s.v. 694»). E così pure è antico «lo stesso tipo sappa ‘zappa’», come dimostrano le attestazioni nelle varietà tedesche (stir. zappe, tirol. zappin, ecc.), nel Rumeno e nelle lingue slave (cfr. «FEW 211 e nota 2»).
Inoltre, «il fatto che in Francia la voce sappa ‘zappa’ “sia originaria in francoprovenzale e in una zona ad esso adiacente”, e che “da lì si sia molto poco estesa in ulteriori dialetti” [cfr. FEW 212], conferma che il focolaio dell’innovazione è la Val Padana, e orienta verso un’attribuzione di questa innovazione alla cultura Chassey-Lagozza-Cortaillod» [38].
M. Alinei sostiene così che Sappada non derivi «da sapa ‘zappa’ e sapar ‘zappare’», bensì da Ceppetum, collettivo in -etum di *cippa > ceppa > sappa ‘ceppo d’albero’, però non spiega l’evoluzione -etum > -ada.
In effetti sarebbe forse più opportuno partire da un collettivo lat. ceppeta — con prima e pretonica (da lat. ĭ) e seconda e tonica (lat. ē) —, cui si posson far risalire alcuni toponimi del centro-nord: Ceppeta (Genazzano, RM; Velletri, RM); rio Ceppeta (PO); torrente Ceppeta (Cantagallo, PO); Ceppeda (cascina, nel comune di Ossago Lodigiano, LO); Ceppatella (Polinago, MO) — cfr. ceppata, dim. ceppatella ‘ceppaia; bosco tenuto a ceppaia’.
Da ceppetum (‘insieme di ceppi d’albero, ceppaia, bosco tenuto a ceppaia’) potrebbero derivare: Ceppeto (Sesto Fiorentino, FI), Ceppato (Casciana Terme, PI), mentre, secondo G. B. Pellegrini, i toponimi Cepéto (Villa a Roggio Pescaglia; Toringo Capannori LU), Cipeto (Pieve a Maiano, Civitella di Chiana AR), Cipito (Castelnuovo Berard. SI) dovrebbero continuare un coll. cepetum ‘cipolleto’ < caepa, cepa ‘cipolla’ [39].
In tutti questi toponimi si riconosce in effetti la base cepp- di ceppo, ceppa (o cep- di cepa), ma non c’è traccia dell’abbassamento /e/ > /a/ e dell’assibilazione che la voce ceppa avrebbe subito nell’Italia settentrionale.
È possibile inoltre un confronto con toponimi francesi [40]:
Cepet (H. Garonne), Sepet 1428 < lat. cippus ‘palo’ o ‘tronco d’albero’ + -etum = ‘insieme di ceppi d’albero’;
Cépoix (Oise), Cepeium 1165 < lat. cippus ‘palo, ceppo’ + -etum (da cui in francese -ei, -oi, -oy, -ay) ‘idem’ [41];
Cépoy (Loiret), de Cepeto 1184, de Cepeio 1210, ‘idem’;
Spay (Sarthe), Cipidus 596, ‘idem’;
Spoy (Aube), Cypetum 654, ‘idem’;
Spoy (Côte d’Or), Cypetus 630, Cepoy 1276, ‘idem’;
Lacépède (Lot. et G.) < lat. cippus ‘palo, tronco d’albero’ + -eta = ‘insieme di ceppi d’albero’.
Stando poi al Dictionnaire étymologique des noms de lieux en France (1978) e al Dictionnaire étymologique des noms de rivières et de montagnes en France (1982) [42], non paiono rappresentati in Francia né il tipo “sap(p)ata” né quello “falcātu”, per i quali d’altra parte G. B. Pellegrini, in Toponomastica italiana (1990), registra soltanto Sappada (però limitatamente all’origine del toponimo tedesco Bladen) e Falcade [43].
Va infine segnalato che Gerhard Rohlfs riconosce in Sappada, nel bergamasco antico salesada ‘salceto’, e in altri nomi analoghi (tra cui un friulano Pinada che Il Nuovo Pirona non riporta), un suffisso -ata con lo stesso valore del collettivo -eta [44] — potrebbe esser questa la spiegazione del suffisso locale -ada sviluppatosi dal collettivo -eta, che, come s’è notato poco sopra, Alinei aveva tralasciato. Se però l’etimo di salesada è lampante, nel caso di Sappada lo studioso tedesco avrebbe dovuto precisarne il significato, perché se la base sap(p)- si riferisse a una pianta, Sappada si potrebbe interpretare come *sap(p)ata = *sap(p)eta, ‘bosco d’abeti’, dal gall. *sapo- ‘abete’, il che potrebbe andar bene in Francia, in Piemonte o in Valle d’Aosta, ma è inverosimile nel Veneto [45] o in Friuli. Rohlfs non pensava certo a un ‘terreno piantato a zappe’!
L’ipotesi etimologica proposta da Alinei sembrerebbe, a una prima lettura, più o meno altrettanto convincente di quella che fa ricorso alle voci dialettali (specie friulane, cadorine, comeliane) sapàr, sapà, sapada. Anche perché, con i valori attribuiti a ceppeta, vale a dire ‘insieme di ceppi d’albero, ceppaia, bosco tenuto a ceppaia’ non siamo poi tanto lontani dal contesto del ‘dissodamento’, del ‘dissodare con la zappa’, cui potrebbero appartenere anche quei termini.
Dino e Gino Zandonella Sarinuto tenderebbero però ad escludere, nel caso di Sapàdä, la possibilità di un “bosco tenuto a ceppaia”, e perché non ne hanno mai sentito parlare e perché non credono che quel «sistema di governo del bosco sia mai stato applicato a quella altitudine» [46]. Anche per ciò, dunque, risulterebbe preferibile per ceppeta il significato di ‘insieme di ceppi d’albero’: proprio davanti a numerosi ceppi potrebbero essersi trovati gli stessi antenati dei Sappadini pervenuti sul pianoro di Cima nel lontano Medioevo, in un luogo chiamato “Sapada” dagli abitanti della Val Degano.
C’è tuttavia da notare che la spiegazione etimologica fornita da Alinei, che concerne sappa più che non Sappada, risulta priva delle necessarie datazioni riguardanti i singoli cambiamenti fonetici, soprattutto l’abbassamento /e/ > /a/ e l’assibilazione. Stando alla prima attestazione di sappa (VIII secolo), le tre mutazioni — alle quali si può aggiungere anche la lenizione della -t- intervocalica di *ceppeta — dovrebbero comunque risalire ad un’epoca ben antica, forse in qualche caso più antica di quanto immaginato da alcuni studiosi [47]. Si potrebbe perciò ipotizzare che una voce sappada, se derivata da *ceppeta, fosse già in uso ai tempi di Carlo Magno (se non prima), e abbia assunto la forma degeminata in età successiva, cioè ben prima della colonizzazione tedesca della conca di Sappada collocabile nell’XI-XII secolo — quindi, per spiegare la genesi di *Zepaden, da cui Zepod(e)n, anche in questo caso si dovrebbe partire da una forma quale Sapada.
Le tre mutazioni però vengono da Alinei attribuite indistintamente alle parlate dell’Italia Settentrionale, ove tuttavia la forma ceppa non compare in ogni regione, tant’è che non ne viene indicata la presenza né in Veneto né in Friuli Venezia Giulia. Per ‘ceppo’, in Comelico Superiore, Cadore e Friuli (come in genere nel resto del Veneto e in Trentino) si trova infatti il tipo cioca, rappresentato da voci quali, rispettivamente: zucu, ẑòcia e ẑòka, ćǫ́kǫ e zoc; al contrario, stando alla carta 536 dell’AIS, in più aree di Piemonte, Liguria, Ticino, Lombardia ed Emilia sono rappresentati i tipi ceppo, ceppa con assibilazione iniziale, con forme più numerose in Piemonte, ove si incontrano in varie località anche le varianti sapa, sappa, che invece nelle altre regioni risultano rilevate solo in alcuni luoghi..
Alinei in effetti si limita a ricondurre il toponimo ufficiale Sappada a Ceppetum attraverso «la variante sappa», senza prendere in considerazione le attestazioni medievali e le forme locali e cercare almeno di capire a quale parlata vadano ascritte, come se quell’etimo potesse andar bene per ogni eventuale località settentrionale denominata Sappada.
La spiegazione di Alinei si rivela dunque carente sul piano storico-fonetico, quindi, in ultima analisi, un’alternativa non del tutto valida. Restiamo pertanto in attesa che intorno ad essa, a dodici anni dalla prima presentazione, qualche linguista competente in materia esprima un suo parere.
Nel frattempo, si può azzardare una conclusione, per quanto provvisoria.
La presenza dell’articolo nel toponimo comeliano La Sapade — suggerisce G. Zanderigo — farebbe pensare a un nome che «in tempi non molto remoti» fosse ancora trasparente. Orbene, se è assente dai vocabolari della lingua italiana un nome comune ceppeto o ceppeta, che plausibilmente appare in alcuni toponimi soprattutto del Centro, e se una forma come *sapada ‘ceppeta’ (o *sapado ‘ceppeto’) non si è conservata, in montagna, in aree linguisticamente periferiche, là dove abbiamo toponimi come La Sapada, Ra Sapada e Sapade, allora due sono le possibilità:
1) ceppeto, ceppeta e simili sono sempre stati soltanto appellativi d’uso locale, di cui però non conosciamo attestazioni (cfr. invece il ticinese ęra šẹpā́da ‘luogo pieno di ceppi’, riportato nell’AIS, con suff. -ada probabilmente da -ata), da cui discenderebbero gli stessi toponimi; l’appellativo alpino *sapada ‘ceppeta’ (da cepeta < ceppeta) — della cui esistenza si può dubitare per i motivi sopra esposti — sarebbe scomparso dall’uso comune perché omonimo di sapada, participio femminile, anche sostantivato, di sapâ, sapà ‘zappare’, ma si sarebbe conservato in alcuni pochi toponimi;
2) La Sapada, Ra Sapada, Sapade e Sappada potrebbero riflettere più probabilmente un sapada ‘zappata, lavorata con la zappa’, participio il cui significato primo è quello di base di zappare, sapà, sapâ, ma al quale, usato anche in forma sostantivata (con o senza articolo) e in diversi contesti (storico-ambientali), si possono poi attribuire delle accezioni particolari, riconoscibili almeno in parte nei nostri quattro toponimi alto-bellunesi: da ‘(terra) smossa, asportata o scavata (usando la zappa)’ a ‘(superficie) dissodata (con la zappa)’, ad ‘(area) alterata o devastata da fenomeni naturali (similmente a un terreno zappato)’ [48].
[1] C. Malaguti (2001: 39) invece, fa derivare Sappada «verosimilmente» — in realtà piuttosto “inverosimilmente” — «da zum Plavis ovvero zum Plodn (lungo il Piave)», per cui Sappada, Plavis e Plodn avrebbero «essenzialmente la stessa origine e sostanzialmente lo stesso significato».
[2] G. Turato, D. Durante 1989, s. vv.
[3] Cfr. http://www.dizionariofriulano.it/.
[4] A. Angelini, E. Cason 1992: 29.
[5] M. Hornung (1995: 547) riteneva Sappada — trascritto come ssappáada — derivato proprio dal friul. zappada, sapade, con i valori di ‘zappata’ e ‘tagliata’ (= Holzschlag).
[6] H.-D. Pohl 2002: 39-40; H.-D. Pohl 2010: 2. Il nome sappadino di Cima viene scritto Zepodn, mai Zepoudn. Escludendo una svista da parte del professor Pohl che, come si è visto, si rifà ai lavori di Maria Hornung, si può ipotizzare che la trascrizione fonetica [tsepóudn] sopra riportata corrisponda effettivamente ad una forma udita da lui in loco. Vi è infatti oggi a Sappada chi pronuncia così Zepodn.
Anche per A. Leidlmair il nome Sappada sarebbe un «Rodungsname» (Rodung = ‘dissodamento’, ‘terreno dissodato’), facendo «riferimento al “luogo da dissodare”» (A. Leidlmair 2002: 21, nota 10).
[7] Cfr. A. Draxl 2002: 124.
[8] M. Leporcaro 2009: 108.
[9] Cfr. R. Pellegrini 1994: 241-52.
La -o risulta «costante nel Cividalese», «Gemona oscilla tra -o e -a», «nell’Udinese prevale -a fin al sec. XIV per cedere poi il posto ad -e che si diffuse alla massima parte del Friuli» (G. B. Pellegrini, A. Stussi 1976: 442).
La finale -o dal ’400 si ritroverà solo nel Friuli occidentale e in Carnia, ove si incontrano le parlate più conservative, come quelle di Forni Avoltri e Rigolato, nella Val Degano. Un esempio, tratto dallo Sprach- und Sachatlas Italiens und del Südschweiz – Atlante Italo-Svizzero (AIS): nella varietà carnica di Forni Avoltri, corrisponde all’it. la zappa la forma la sapǫ. (l’AIS è scaricabile all’indirizzo web http://www3.pd.istc.cnr.it/navigais).
[10] Cfr. A. Peratoner 2002: 150.
[11] La cleve di Sapade, menzionata in G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 161; in sappadino: de Laite.
[12] A. Peratoner 2009b: 25. La spiegazione sull’ubicazione del «primo insediamento» sappadino è ripresa, in buona sostanza, da A. Peratoner 2002: 56.
[13] L’idronimo Rio Sapè mi è stato segnalato da Giandomenico Zanderigo Rosolo.
Sapadìz è registrato ne Il Nuovo Pirona (cfr. G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 927, 1515). Il bosco (chiamato localmente Sapadìč) si trova a sud-ovest del centro di Ampezzo, oltre il torrente Teria. Il toponimo, al quale, stando a Il Nuovo Pirona, non pare corrisponda alcun nome comune, si può forse confrontare con altri nomi in -ìz, ad esempio rassadìz ‘raschiaticcio, raschiature’ (G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 853).
[14] A cura del Gruppo Ricerche Culturali di Comelico Superiore.
[15] Dovrebbe trattarsi di un padulìn il cui cognome era De Martin Pinter (comunicazione personale di Dino e Gino Zandonella Sarinuto).
[16] http://www.comelicocultura.it/1440x0900/Italiano/Storia/Toponomastica/com_superiore1.htm.
[17] Comunicazione personale, nella quale gli Zandonella Sarinuto mi segnalano anche la presenza, poco lontano dai Pras dla Sapàdä, di un luogo chiamato Ciuẑinèrä, «un luogo dove c’era una fornace che riduceva le pietre calcaree in calce viva». Può darsi che la denominazione Sapàdä dipenda anche dal fatto che il suolo, nei pressi della fornace e più in là (quindi anche ai Pras dla Sapàdä), un tempo veniva zappato per procurarsi tali pietre da calce.
Cfr. anche «Ciuzinèra [localmente: Ciuẑinèrä]. Calcinera. Appezzamento di terreno falciativo ad occidente di Dosoledo, con fornace per la calce», in http://www.comelicocultura.it/1440x0900/Italiano/Storia/Toponomastica/com_superiore1.htm.
[18] F. Zanderigo Rosolo, Passeggiate ladine, Belluno, 1985, Tipografia Piave, p. 132.
[19] Ne Il Ladino del Comelico Superiore, sapàdä è «riproposto con un punto interrogativo e come arcaico» (comunicazione personale degli autori): «sapàdä f. arc., zolla erbosa estesa(?)». Tale voce va comunque confrontata con «zópä f., zolla erbosa» (con ẑ), e inoltre con sàpä ‘zappa’ e zapìn (con ẑ-) ‘zappino (da boscaiolo)’; cfr. G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 344, 346, 215, 259.
[20] In Francesco Zanderigo Rosolo, Passeggiate ladine, cit., p. 143, « troviamo che il toponimo “Pras dla Sapàdä” è stato menzionato in un documento riguardante una confinazione nel lontano 6 ottobre 1628» (comunicazione personale di D. e G. Zandonella Sarinuto).
[21] Si tratta di notizie raccolte qualche settimana fa, durante una conversazione.
[22] G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 215.
[23] Nel comeliano — come mi è stato confermato personalmente da D. e G. Zandonella —, per indicare il calpestare un prato da parte di bovini, si usano i seguenti verbi: zanpaié, zanbaié: calpestare (l’erba nei prati, ecc.), strapazà: calpestare l’erba, e zapà: pestare coi piedi, lasciare impronte (G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 346, 429, 473).
[24] Cfr. A. Angelini, E. Cason 1992: 18.
[25] G. Secco 1991: 141. Cfr. anche http://www.soraimar.it/archivio/dettaglio.asp?G=D&F1=A&ID=6998.
[26] Cfr. C. Marcato, in G. Gasca Queirazza et alii 1990: 265; G. Secco 1991: 140; A. Angelini, E. Cason 1992: 18; C. Du Cange et al. 1883-1887: t. 3, p. 399, col. c., s. v. falcata prati; J. F. Niermayer 1993, s. v. falcata.
[27] G. Secco 1991: 146.
[28] Cfr. G. Magliaretta 1979: 45.
[29] Cfr. G. Magliaretta 1979, s. vv., e G. B. Pellegrini 1995: 272-3.
[30] G. Gasca Queirazza et alii 1990: 553.
[31] «Sappas hauua». Cfr. http://fr.wikisource.org/wiki/Les_Gloses_de_Cassel/Commentaire, e Alain Rey 1992, s. v. saper.
[32] J. F. Niermayer 1993, s. vv.
[33] http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts.
[34] M. Cortelazzo, P Zolli 1999, s. vv.
[35] Alinei pensa che sappa sia «attestato nel tardo ladino delle Glosse e in Isidoro», ma in realtà non compare in Isidoro, bensì nelle glosse di Isidoro.
[36] Ceppa è riportato anche in C. Du Cange et al. 1883-1887: t. 2, p. 267, col. b. A p. 266, col. c, compare inoltre la voce cepaticum, definita «Stipites arborum succisarum».
[37] Ne L’origine delle parole, Alinei dà questa definizione di iconimo: «‘Nome-icona’, ‘nome che attraverso il proprio riciclaggio rappresenta direttamente il nuovo referente concettuale’»; cfr. M. Alinei 2009: 65.
[38] M. Alinei 2009: 575-6 [tratto (con lievi modifiche) da: M. Alinei 2000: 851-2].
[39] G. B. Pellegrini 1990: 332.
Va rilevato che nel Du Cange non compare alcun cip(p)etum, cep(p)etum, cep(p)eta, cepeta, o caepeta, mentre è presente cepaticum (cfr. supra nota 36).
[40] E. Nègre 1990 : 331.
[41] In A. Dauzat, C. Rostaing 1978: 161, alla voce Chepoix (Oise) viene precisato: «[da cippetum] (luogo in cui dei tronchi d’albero conficcati nel suolo formano una palizzata [Soyer]; per il Sud, a. prov. cep, ceppo, piede di vite)». Per i due studiosi francesi cippetum ha in genere il valore di ‘palizzata’.
[42] A. Dauzat, C. Rostaing 1978 e A. Dauzat, G. Deslandes, C. Rostaing 1982.
[43] G. B. Pellegrini 1990: 412, 244. A p. 219 Pellegrini raccoglie un certo numero di toponimi dipendenti dalla voce falce, però nell’accezione di ‘curva’, e tutti esclusivamente toscani. Nessun derivato invece di zappa/sappa (a parte, appunto, Sappada).
[44] G. Rohlfs 1969: 445.
[45] Nel Dizionario di Giuseppe Boerio (G. Boerio 1971, s. v.) però, è registrata la voce zapìn ‘abete’, confrontabile con il francese e piemontese sapin.
[46] Comunicazione personale.
[47] Cfr. G. B. Pellegrini, A. Stussi 1976: 432.
[48] Sui significati diversi da quelli dei verbi da cui derivano, assunti dai participi passati, anche sostantivati, e dipendenti dai differenti contesti d’uso, si veda M. Alinei (1984): 98-9, 102 (nota 60).
Attestato dalla fine del 1500, zappare appartiene anche al linguaggio militare, col significato di ‘scavare opere di fortificazione’ (M. Cortelazzo, P Zolli 1999: 1847), vale a dire scavare fossi, trincee (anche ai piedi di un muro), ecc.
mercoledì 25 aprile 2012
Sappada/Plodn. Terza parte
Il toponimo Plodn (plǫdn [plòdën], [plå̅d(ə)n]), Pladen, Bladen in tedesco, va ricondotto a Plât, nome tedesco medievale del Piave — dal lat. Plavis, acc. Plavem, derivato da un venetico *plavios < *plovio- < ie. *pleu- ‘scorrere’ [1].
Secondo Karl Finsterwalder si tratterebbe di un nome antico alto tedesco «Plât, flesso Plâde», ove -t, «indurimento tedesco del suono consonantico finale, sta per il romanzo -d-», e l’esito -v- > -d- ha la funzione di eliminare lo iato; cfr. il toponimo ampezzano Padeón, «in papilione» nel 1447, e l’oronimo Monte Pavione (Vette Feltrine), da papilio ‘tenda’ [2].
Per M. Hornung il poleonimo dialettale Plodn, scritto Ploodn, deriverebbe dal m.a.t. Plât, Plâden ‘Piave’ — la qual cosa risulta appropriata cronologicamente —: l’idronimo sarebbe stato «trasferito alla regione più alta del suo corso superiore» [3].
H.-D. Pohl, richiamandosi a quanto indicato da M. Hornung, riconduce Pladen alla «denominazione tedesca medievale del Piave: Plāt, dat. Plāden»: il poleonimo «è interpretabile partendo forse da bī deme Plāden ‘bei, am Piave’» [4], cioè ‘presso il / al Piave’ — e bī deme Plāden è, a quanto pare, un complemento di luogo medio alto tedesco, con l’-n desinenziale dei sostantivi maschili al gen.-dat.-acc. singolare della declinazione debole [5] (o con la terminazione in -en del gen.-dat.-acc. di tanti toponimi del medio alto tedesco).
G. B. Pellegrini e Carla Marcato (traendo l’informazione, con tutta evidenza, dal Wörterbuch di M. Hornung edito nel 1972 a Vienna) parlano in effetti di un Plât, dativo Plâden, medio alto tedesco [6].
Un dativo Plâden, non credo attestato in documenti, avrebbe dunque potuto essere impiegato per indicare un luogo ‘presso il (la) Piave’ [7], divenendo successivamente un neutro Pladen, Plodn in quanto nome di abitato (poleonimo).
La forma Plât è nominata da Ulrich von Liechtenstein (1200-1275), nell’opera Frauendiest (1255):
«Si vert des êrsten tages ze Tervîs, des andern tages an den Plât, des dritten tages ze Schetschîn, [...]» [8] («Lei viene il primo giorno a Treviso, il secondo al Piave, il terzo a Sacile»).
In «an den Plât» si riconosce un accusativo maschile retto dalla preposizione an ‘a’: l’idronimo è dunque usato da Ulrich in forma indeclinata.
A parere di G. B. Pellegrini «la tedeschizzazione di Plavis con b- (Bladen) non pare etimologica» — come già rilevato da M. Hornung [9] —, ma ricomparirebbe nei toponimi Biàdene (Montebelluna, TV) e Valdobbiàdene (TV), pure in connessione con l’idronimo Plavis [10], attestato come Pladem e Blavem in due manoscritti della Storia dei Longobardi di Paolo Diacono [11].
Secondo C. Malaguti, la forma Bladen sembrerebbe dovuta all’applicazione di tre delle «“regole della parlata” sappadina, utili in molti casi per passare dal dialetto sappadino al tedesco», vale a dire quelle della p, della o e della terminazione -en che diventano rispettivamente b, a, -n [12].
La forma Plodn non mi risulta attestata in alcuno scritto o documento prima del 1800, in quanto dialettale: stando alla raccolta Documenti (2005), compare per la prima volta, accanto al corrispettivo «nome tedesco» Bladen, nell’articolo Una colonia tedesca nel Bellunese. Sappada, di Francesco Pellegrini [13]. Le forme Pladen, Bladen compaiono nelle carte geografiche piuttosto tardi, a partire dalla fine del ‘700: la prima — la carta del Tirolo di Peter Anich —, in cui viene indicato il toponimo Pladen accanto a Sappada («Pladen oder Sapada»), risale al 1774 [14]. Successivamente, Pladen viene menzionato in una testimonianza del 6 dicembre 1783 («pro venerabili Ecclesia Parochiali in Pladen») e nell’articolo Die Deutsche Gemeinde Sappada nebst Sauris di Josef Bergmann, ove si cita la carta del Tirolo dell’Anich [15].
I Sappadini dunque denominarono Pladen i loro insediamenti perché sorti lungo il corso del Piave, che invece viene chiamato Pòch, cioè ‘il fiume (per antonomasia)’, cfr. il tedesco Bach ‘ruscello’ [16].
Il toponimo Pladen potrebbe corrispondere al Longa Plavi, Longaplavi, Longaplave, Longapiave, Longa Plavim, Longa Piave di alcuni documenti del XIV secolo, in buona parte in latino (tutti tranne i due del 1327, regesti in lingua italiana, redatti nel 1800 da monsignor Giovanni De Donà):
1) [exigere] affictus nostros de Longa Plavi de Sapada (24 gennaio 1308);
2) fratres et filii Petri de Longaplavi; [exigere] fictus nostros de Longaplavi et Sapada (4 novembre 1308);
3) filius quondam Petri de Longa Plavi; frater quondam Petri de Sapata de Longaplavi (18 ottobre 1318);
4) [lega] a Santa Margarita de Longaplave (17 novembre 1327);
5) lascia un legato a S. Margarita di Longapiave (16 dicembre 1327);
6) Joannis de Longa Plavim; nomine sui Comunis de Longa Plavim; montis jacentis longa Plavim; incipiendo a flumine Plavis; mitteret Longam Plavim (giugno 1373) ;
7) [locavit montem jacentem] in loco vocato Longa Piave (3 novembre 1388).
Nelle prime tre attestazioni viene nominata anche Sapada/Sapata:
• nel primo documento (24 gennaio 1308) come determinazione di luogo di Longa Plavi;
• nel secondo (4 novembre 1308), unito a questo toponimo da una et;
• nel terzo come nome di luogo determinato da Longaplavi (18 ottobre 1318).
Nel quarto e quinto documento (17 novembre e 16 dicembre 1327) Longaplave/Longapiave è la località in cui sorge la chiesa di «Santa Margarita» [17].
Nel sesto documento, del 1373, si leggono:
• due volte de Longa Plavim, usato come complemento, rispettivamente, di provenienza e di specificazione retto dalla preposizione de, ma con il nome del fiume uscente in -im, come fosse un accusativo richiesto da longa (cfr. longa Plavim);
• un Longam Plavim moto a luogo, in cui Longa è posto all’accusativo come si trattasse di un attributo di Plavim;
• un longa Plavim nel quale longa pare una preposizione reggente l’accusativo.
Invece in a flumine Plavis si avrebbe, accompagnato dall’apposizione flumine all’ablativo retto da a, il nome del Piave con la terminazione -is del nominativo/genitivo, già usato in altri atti del 1300-1400 come nome proprio indeclinato — cfr., in Documenti (2005): unum [trans (BSC)] flumen Plabis (13 settembre 1347); a flumini Plavis (13 giugno 1403) [18].
Nel sesto documento, ove, nella traduzione dei toponimi dalle forme locali alle latine, si manifesta una certa incertezza (che denota, in apparenza, una non completa padronanza delle strutture del latino), interessa più di tutto il sintagma jacentis longa Plavim, costruito con un longa preposizione, che regge l’accusativo e vale ‘lungo, per il lungo, per tutta la lunghezza’ — confrontabile forse con juxta + accusativo.
Si ha qui conferma del valore preposizionale dell’elemento Longa nelle forme Longa Plavi, Longaplavi. Si tratterebbe di un adattamento alla lingua latina notarile di un toponimo in uso, con tutta probabilità, nella parlata cadorina (del Cadore Centrale e dell’Oltrepiave) del XIV secolo — in Longaplavi il nesso pl- è conservato, il che corrisponderebbe alla pronuncia locale trecentesca.
In effetti, i sette documenti sopra indicati sono stati redatti quasi tutti da estensori cadorini o comeliani e in località del Cadore — a Pieve di Cadore, Campolongo, Lorenzago (da escludersi quasi certamente la località Levazole [?], del documento del 24 gennaio 1308 [19]). Inoltre, Longaplavi si può confrontare col toponimo cadorino Longiarù, attestato nel 1641 e, nella forma “notarile” Longiarudum (con -d- al posto dell’etimologico -v-), nel 1552. Tale nome di luogo — ci informa Maria Teresa Vigolo — «si trova nella toponomastica odierna nei pressi di Pozzale e corrisponde alla forma dialettale non lessicalizzata lòngia-(al) rù “lungo il rivo”, dal lat. lŏngus (usato in forma preposizionale) + rīvus, cfr. il cadorino ru “ruscello, torrente”» [20].
Nelle attestazioni del 1552 e 1641 il toponimo presenta la palatalizzazione di -ga con esito -ǧa, da cui la forma Longia-rù [21], palatalizzazione che ritroviamo registrata in documenti cadorini del 1400-1500; si veda, ad esempio, Gavum, Giavum (1444), Giau (1540), giau (1600), Giou (1654), confrontabili con i friulani giàf “Valle torrentizia”, Giâf, Giavóns (Rive d’Arcano, Giavons nel 1229), tutti dal latino cavus [22].
Nei documenti dei secoli successivi il nome Longaplavi non compare più, fatta eccezione per cinque atti cinquecenteschi relativi alla «vertenza tra Sappada e Lorenzago sullo sfruttamento a pascolo del [bosco] Digola», in cui si nomina il sito Longa-piave, Longapiave, Longa-plave, che però non corrisponde più all’abitato del 1300, ma dovrebbe essere — come si vedrà poco più avanti — un tratto pianeggiante alla sinistra del Piave, situato «sul versante settentrionale del bosco Digola»:
1) alle piazze della Piave, ossia Longa-piave; nel sito di Longa-piave (24 maggio 1516);
2) parte del loro monte della Divola, cioè il Longa-piave (25 maggio o giugno 1516);
3) i siti nominati alle piazze e Longa-plave (18 giugno 1532);
4) le piazze e Longa-piave; nelle piazze e nel Longa-piave; il Rin bianco e Longapiave (19-20 giugno 1532);
5) le piazze della Dievola o Longapiave; le Piazze della Dievola, e Piazze della Longapiave (10-14 ottobre 1533) [23].
Ci si aspetterebbe in questo caso, per attestazioni del 1500, che in Longapiave fosse evidenziato l’esito della palatalizzazione del gruppo -ga-, ma evidentemente la grafia riflette un adeguamento agli usi linguistici notarili-cancellereschi di allora, e quindi la tendenza ad eliminare i fenomeni più locali — e in Longa-plave un tratto latineggiante.
Giuseppe Ciani (1856) pensava che Longaplave fosse una delle borgate — una delle prime — sorte lungo il Piave, chiamata appunto così perché «posta lunghesso il fiume» [24].
A giudizio di Francesco Pellegrini (1873) «il luogo che nelle carte medievali si chiamava dapprima latinamente Longaplavis, assunse dappoi il nome di Sapata» [25]. Longaplavis è il nominativo latino, credo mai attestato, tratto dal Longaplavi menzionato negli «ordini di protezione» degli anni 1308 e 1318. In realtà le forme Longaplavi e Longa Plavi sono precedute proprio dal Sapata del primo documento su Sappada a noi pervenuto, del 2 agosto 1295, toponimo che si ritrova poi nell’«ordine di protezione» del 18 ottobre 1318 e nella «concessione di sfruttamento» del 2 febbraio 1334.
Secondo quanto riferisce A. Peratoner, G. Fabbiani (1962) riteneva che il Longaplave dei documenti del 1300 sopra menzionati potesse riferirsi a «una località distinta, situata “alla sinistra del Rio Storto (Krummbach) nella parte pianeggiante alla sinistra della Piave” [26], vale a dire ad un’area adibita a pascolo sul versante settentrionale del bosco Digola». A parere di G. Piller Puicher si tratterebbe invece — ci informa sempre Peratoner, che però non ci dice da dove abbia tratto la notizia — dell’insieme delle borgate disposte «parallelamente al (lungo il) corso del Piave» [27].
Peratoner stesso ritiene accettabile l’ipotesi formulata da Fabbiani sulla base di quei documenti, ipotesi che sarebbe rafforzata dalla presenza di un accordo del 24 maggio 1516 «che fa cenno di un pegno “tolto sul predetto monte della Divola nel sito detto alle piazze della Piave, ossia Longa-piave” e aggiunge che i Sappadini affermarono “d’aver sempre avuto l’uso di pascere i proprii animali nel sito di Longa-piave”». Anche in questo documento dunque Longaplave sarebbe «una località distinta da Sappada, non abitata ma destinata ad attività silvo-pastorali». Però, nota Peratoner, sulla base delle attestazioni contenenti Longaplave risalenti agli anni 1318, 1327, 1373 («“Comune di Longa Plave”»), si deve supporre «l’esistenza parallela, nell’età medievale, del toponimo Longaplave accanto e con significato analogo a quello più comune di Sappada» [28].
Ammettendo tuttavia che i due nomi si riferiscano a due luoghi distinti, si può solo immaginare che prima del Trecento, con Longaplavi si intendesse il tratto di valle e con Sapada l’abitato relativamente sparso, oppure, preferibilmente, con Longaplavi l’insediamento parallelo al fiume, forse solo nel tratto di Granvilla o anche fino al Rio del Mulino, e con Sapada quello più in alto, cioè l’attuale Cima Sappada - Zepodn.
Invece, nei documenti del XIV secolo, con Longaplavi si intende designare, rispettivamente:
1) una località di Sappada (Longa Plavi de Sapada = del Commune di Sappada) in cui si trova un maso per il quale degli abitanti di Sapada, nominati nel documento successivo, devono pagare l’affitto, così come altri Sappadini (24 gennaio 1308);
2) la località in cui abitava un tale Pietro e probabilmente abitano i suoi due figli (indicati come habitatores nostri de Sapada), e dove si trova anche il loro maso — qui però si precisa che i fitti pagati dai Sappadini sono di Longaplavi et Sapada, come se si trattasse di due località distinte (4 novembre 1308);
3) la località in cui abitava il Pietro del documento precedente e dove probabilmente abitano i suoi eredi — Pietro è anche detto de Sapata de Longaplavi, con inversione dei due toponimi rispetto al Longa Plavi de Sapada del primo documento, forse per una svista (18 ottobre 1318);
4-5) la località in cui sorge la chiesa di Santa Margarita, che nel lascito redatto a Ovaro nel 1295 viene chiamata ecclesia de Sapata — qui siamo infatti ancora in ambito cadorino: le donazioni testamentarie sono fatte da persone di Campolongo e Costalta (17 novembre e 16 dicembre 1327);
6) il Comune (nomine sui Comunis de Longa Plavim) a nome del quale Nicolò di Giovanni de Longa Plavim sottoscrive la «Concessione di sfruttamento di parte del bosco sul versante occidentale delle Terze» — qui Sappada non viene neanche nominata (giugno 1373);
7) il luogo ove sorge il monte dato in affitto, la prima volta nel 1373, dai Lorenzaghesi al Comune di Sapada — qui invece vengono menzionati sia Sapada che i Sapadini (3 novembre 1388).
In quest’ultimo documento si prefigura un po’ la situazione delineatasi nei secoli successivi, quando tutto l’abitato e la comunità (villa, comun, Comune...) — compreso l’insieme delle borgate poste lungo il versante settentrionale della valle — vennero definitivamente designati con il nome di Sapada, Sappada (e talvolta Sapata, Sappata) [29], e il toponimo Longaplavi non venne più usato, tranne nel Cinquecento, in cui, come si è visto, si riutilizzerà nella forma Longapiave per indicare l’area alla sinistra del Piave.
Stando alle attestazioni duecentesche-trecentesche, “Sappada” risulterebbe il nome utilizzato nel latino notarile-cancelleresco, in ambito ducale e friulano, in atti nei quali — va sottolineato — si accenna talvolta al Piave (1347, 1350) ma Longaplavi non viene mai menzionata:
ecclesia de Sapata (1295), villa de Sappada o Sapada (1296), in contrata qui dicitur Sapata (1334), Sappada (e Villa nostra Sappada) (1347), Sappada (1392).
Invece nei documenti tra il 1308 e il 1334, appartenenti all’ultima fase del dominio caminese, troviamo le denominazioni Longa Plavi de Sapada, Longaplavi, Sapata de Longaplavi, Sapata, come ci ricorda Carlo Malaguti [30], cui va aggiunta però la coppia Sappada-Sapada (se nell’originale) dell’ordine di protezione del 24 gennaio 1308.
Le forme del tipo “Sapata” si incontrano sempre in documenti (specie d’ambito friulano) scritti nel latino notarile-cancelleresco (1295, 1318, 1334, 1493 [cinque Sappatta e un Sappata], 1620 [cinque Sappata e un Sapata], 1659 [Sappata], 1704), o ecclesiastico (1431?) — eccezion fatta per il documento notarile del 3 agosto 1535 redatto in forme particolaremente ibride —; in due casi compare Sappata accanto al più corrente Sappada: nel 1535 [tre Sappata] e nel 1659.
Tutto ciò starebbe a indicare che le forme Sapata, Sappata dipenderebbero più che altro dalla tendenza a latinizzare i nomi propri rintracciabile in tante scritture notarili o cancelleresche, tra Medioevo ed Età moderna.
Le forme del tipo “Zap(p)ada”, tutte e tre attestate in epoca moderna — homeni di Zappada («Ricorso in appello alla Quarantia Civil Nuova», 14 0ttobre 1532), comune di Zapada («Istanza presentata all’Avogaria dal Comune di Lorenzago», 29 ottobre 1584), Acqua detta de Zapada (Carta del Cadore, realizzata da Giovanni Francesco Carli su disposizione di Nicolò Foscarini, 1713) [31] — potrebbero spiegarsi con un’erronea resa venezianeggiante dell’usuale Sap(p)ada, anche involontaria, sulla base di un accostamento a voci veneziane quali zapada, zappada ‘zappata’ e ‘pestata, orma’ o zapada, zapata ‘sandalo, ciabatta’ [32].
Il toponimo italiano Sappada secondo alcuni potrebbe dipendere dal nome dialettale Zepodn, fatto derivare da Plodn — ma la cosa non pare granché verosimile —, oppure interpretato come zum Boden/zum poden ‘sul pianoro’ [33] o, in modo analogo, partendo dal «dial. tse poudn, cioè ‘zu Boden’, zu Boden nel senso di ‘sull’altopiano’» [34]. In effetti il paese è posto in un’area pianeggiante [35], ma in sappadino attuale ‘pianoro’ è poudn, con un dittongo che non compare nel presunto elemento -podn (che ha invece una vocale lunga), e che non si comprende perché non dovrebbe comparire nell’attuale nome dialettale di Cima, qualora fosse etimologico (cfr. infra la nota 41).
Quella è, in buona sostanza, l’interpretazione data da Peratoner in Storia di Sappada e in Sappada / Plodn (2002): «Quanto al toponimo Sappada, riteniamo sufficientemente evidente la sua dipendenza dal dialettale Žepod’n, nome dell’attuale nucleo abitativo di Cima Sappada, del resto il primo ad incontrarsi nel salire dalla Val Degano e che potrebbe a buon titolo aver designato l’abitato vallivo nel suo insieme, dato che i primi e più antichi contatti furono col versante carnico. La sua origine, poi, potrebbe essere zum poden (al piano, con riferimento al pianoro su cui è stabilita), oppure nel suo composto potrebbe celarsi il dialettale Plod’n, corrispondente a Sappada nell’idioma locale». Tale derivazione Sappada < Zepodn — ci informa Peratoner — era stata ipotizzata dal maestro Guido Kratter e ripresa da A. Cucagna (1965); sarebbe poi «confermata dal ricorrere nei primi documenti della variante priva del raddoppiamento Sapada, più vicina a Žepod’n» [36].
Peratoner poi, ritiene «alquanto inconsistente la derivazione di Sappada dal verbo zappare (dial. ven. sapàr), già avanzata da J. Bergmann, ripresa da G. Fabbiani — “Sappada è nome derivato forse dal terreno zappativo per eccellenza” (Alcuni documenti riguardanti Sappada di Cadore, in: «ASBFC», XXXIII, 1962, n. 159, apr.-giu., p. 50) —, non esclusa da A. Cucagna [1965] e sostenuta da M. Hornung: “Zepaden [sic] è la forma dialettale tedesca della romanica zappata, da zappare, nel significato di dissodare” (L’isola linguistica tedesca di Pladen / Sappada in Carnia, [in Aa. Vv., Le isole linguistiche di origine germanica nell’Italia settentrionale, Roana, 1984], p. 195)» [37]; riproposta inoltre da Mario Toller (1969) — il quale suppone: «“Dal participio passato sappata, che probabilmente concordava o con terra o villa o contrada, si è passati per un’omissione di amanuensi friulani o veneti, che escludono le doppie, alla forma Sapata”» [38] — e Ivana Milocco (1999). Una spiegazione etimologica che «probabilmente anche a motivo della sua facile banalità, è stata pedissequamente ripresa in diverse altre pubblicazioni a carattere divulgativo» [39]. Ma che in realtà è sempre stata sostenuta anche da linguisti quali G. B. Pellegrini e Carla Marcato, cosa di cui Peratoner sembra non essere veramente a conoscenza.
Al contrario appunto, per G. B. Pellegrini — che tra l’altro Peratoner pare aver frainteso [40] — «il nome italiano è riflesso dalla tedeschizzazione tsepodn ‘Cima Sappada’ (Oberpladen)»; tsepodn sarebbe in effetti l’adattamento del «nome pretedesco di Sappada» — «adattamento» sul quale però Pellegrini non dà alcuna spiegazione — e il toponimo Sappada alluderebbe «ad un terreno zappativo assai buono» [41].
Alcune osservazioni si rendono ora necessarie.
Per sostenere la derivazione Sap(p)àda < Zepodn — ammettendo che si debba partire da una forma non attestata *Zepoden o simile, in uso ben prima del 1295-1296 (visto che le forme Sappada, Sapada sono menzionate già nel 1296), mentre Zepodn non so se sia documentato prima del 1800: cfr. lo «Zupaden oder Cima Sappada» di Josef Bergmann, nel 1849 [42] —, bisognerebbe prima di tutto spiegare i mutamenti m.a.t. ze- > romanzo (friulano, cadorino, comeliano) sa- in sillaba pretonica, cosa che mi pare non sia stato fatto.
Altrettanto si richiederebbe per la sequenza romanzo Sap(p)àda > ted. dial. *Zepaden > plodarisch Zepodn. In questo caso si comprende abbastanza facilmente la formazione di Zepodn da *Zepaden in quanto analoga a quella di Plodn da Plāden: anche *Zepaden sarebbe un nome di luogo in -en, terminazione del gen.-dat.-acc. che ritroviamo in tanti toponimi del medio alto tedesco. E si spiega agevolmente anche l’esito s- > z- [ts], poiché in un certo numero di prestiti relativamente più antichi dal romanzo al tedesco — tale tendenza però non è molto comune — la s- iniziale è passata a z- sorda, come comprovano, nel saurano, gli sviluppi di Zahre da Sauras/Saures e di zigl ‘secchia’ dal lat. situla [43] — da confrontarsi con sela, schela a Sappada, dal friul. sela (attestato nel 1356, 1360) [44] — e, a Sappada, gli oronimi Zere (‘Zehre’, M. Siera) e Zetz (Monte di Sesis), rispettivamente dal friulano siera, siere ‘sbarramento, catenaccio’ [45] e da una voce romanza non ancora identificata con sicurezza [46]. Il cambiamento vocalico -a- > -e- va invece interpretato come indebolimento della a in sillaba pretonica [47].
Forse si può anche postulare una «reinterpretazione paretimologica» di Sapada (*Sapaden?) in *Ze-paden > Zepoden, con poden inteso come corrispondente al ted. Boden (più che a Baden), da parte di una comunità parlante una varietà pustero-carinziana e non in grado di associare al toponimo romanzo il significato d’origine, a maggior ragione se il primo insediamento, già denominato Sap(p)ada, si può far risalire a uno o due secoli prima di fine 1200 [48]. Si tratterebbe, tutto sommato, di una paretimologia simile a quella riconoscibile nella spiegazione di Zepodn da ze poden (m.a.t. boden) di cui sopra, nella quale però non si tien conto della presenza nel sappadino attuale della forma poudn ‘fondo, piano’ e delle voci podn, pode-, correlate ai tedeschi baden ‘fare un bagno’, bade- ‘da bagno’.
Esistono infatti più toponimi sappadini composti con poudn, però con l’altro componente costituito da sostantivo o aggettivo, toponimi registrati dallo stesso Peratoner: Houvarpoudn, Poudnrāne, Sòntpoudn, Ob(e)rpoudn (o piuttosto Ouberpoudn?), Puichpoudn, Rindrpoudn [49].
Nomi di luogo composti con Poden, correlabile al m.a.t. boden (ted. Boden), vengono elencati da G. Piller Puicher in Sappada, isola etnica e linguistica. Toponomastica e vocabolario (1997) [50]: Rio Puichpoden, Eckar Poden, Milpar Poden, Ober Poden, Erz Poden (Erz Poud’n), dei quali il primo, il quarto e il quinto corrispondono al Puichpoudn, all’Ob(e)rpoudn e, probabilmente, all’Erzpèidne [51] menzionati da Peratoner. Dall’esame di Documenti (2005), inoltre, risulterebbe un Aillen Poden citato in un atto seicentesco (1680) di «Divisione delle proprietà terriere dei masi sappadini»: «item altro pezzo di Prado nom.to Lanner in Aillen Poden» [52]. Si tratta in questo caso di una forma scritta che non si sa quanto corrispondesse alla pronuncia effettiva seicentesca; bisognerebbe sapere infatti quando è nata la pronuncia [póudn] e se, come ipotizzo, solo in epoca molto recente si sia cominciato a trascriverla nella forma corrispondente <poudn>.
Riguardo all’origine slava del toponimo Sappada, cui si è accennato nella Seconda parte, al § 3., H.-D. Pohl — in Comelico, Sappada, Gaital, Lesachtal: paesaggio, storia e cultura (2002) [53] — menziona la teoria formulata da Giorgio Piller Puicher nel 1997 [54], ricordando che, tra le tante ipotesi di «derivazione slava», una è stata proposta dallo stesso autore sappadino, il quale, in alternativa al dial. ze podn = ‘zu Boden’, ‘sull’altopiano’, pensava a una possibile origine di Sappada «dallo slavo (sloveno) zapadna ‘occidentale’». Va qui precisato però che Piller Puicher nel 1997 riconduceva, distintamente, Zepoden — trascritto come Z’POHD’N — al tedesco zum Boden (attraverso una forma zum Poden), e Sappada allo slavo zàpadna, voce che nel 1995 aveva riportato per lo più nella forma scorretta Sapadna [55].
L’aggettivo femminile zapadna ‘occidentale’ (da zapad ‘occidente, ovest’), comune a serbo, croato, slovacco, viene pronunciato con una s sonora iniziale e con accento sulla prima a (zàpadna), quindi è ben difficile possa dare origine a una forma quale Sapàda — si dovrebbe, tra l’altro, partire piuttosto da una voce appartente all’antico sloveno, anche perché nello sloveno di oggi ‘occidentale’ si dice zahodna (da zahod ‘occidente, ovest’).
Bisognerebbe poi chiarire bene rispetto a cosa sarebbe ‘(una terra?) occidentale’ (un «territorio OCCIDENTALE», secondo Piller Puicher) il pianoro di Cima, o eventualmente tutta la vallata di Sappada, che si trova a ovest della Val Degano ma al tempo stesso a sud del Lesachtal. Piller Puicher ritiene che Sappada sia occidentale rispetto alle valli del Danubio da cui gli Slavi provenivano, e che anzi sia la «terra più a occidente da essi raggiunta» [56]. In effetti la maggior parte del corso della Drava si trova grosso modo a est di Sappada, però anche località come Lienz o Maria Luggau potrebbero esser annoverate tra le più occidentali raggiunte dagli Slavi alpini. Quanti altri luoghi, in realtà, potrebbero essere definiti ‘occidentali’? Sarebbe bene inoltre sapere se esista effettivamente in sloveno qualche località il cui nome significa ‘occidentale’.
[1] A. L. Prosdocimi 1988: 391.
[2] G. B. Pellegrini 1990: 375, 412; C. Marcato 1993: 33; K. Finsterwalder 1990, 1995: 111-2 (Band 1) e 987, nota 4 (Band 3); http://www.pd.istc.cnr.it/index2.php?option=com_docman&task=doc_view&gid=106.
[3] M. Hornung 1972: 497-8; M. Hornung 1995: 368, 544.
[4] H.-D. Pohl 2002: 39-40; H.-D. Pohl 2010: 2.
Pohl — così come M. Hornung nel Pladner Wörterbuch / Glossario Sappadino (1995) — non menziona il toponimo medievale Longaplavi citato in alcuni documenti del 1300, di cui si dirà ultra.
[5] La terminazione -en si ritrova in tutte le forme dei sostantivi (e aggettivi) della declinazione debole del medio alto tedesco, tranne il nom. sing. m. f. e il nom. acc. sing. neutro (cfr. G. Dolfini 1976: 38-45).
[6] C. Marcato, in G. Gasca Queirazza et alii 1990: 604-5; G. B. Pellegrini 1992: 235; C. Marcato 1993: 33.
[7] Si tratterebbe di un dativo con funzione locativa, e quindi un dativo non necessariamente retto in origine da una preposizione, poi scomparsa, quale bi, bî (ted. bei ‘presso’) + dem(e) (articolo m.).
In tedesco in effetti, in diversi toponimi «si è imposto il dativo, sia al singolare (p. es. Bruggen/Brucken = ponte, mhd. brucke) che al plurale (Pichlern/Bichlern "presso coloro che abitano al Bichl = Bühel")» (H.-D. Pohl, comunicazione personale).
Cfr. Pidig - Púdio, in http://lucio-iuos.blogspot.com/2010/08/nomi-di-luogo-dorigine-celtica-dellalto.html, e anche quanto rilevato da H.-D. Pohl (2002: 40-1 e 2010: 2) riguardo al nome della borgata Cottern: «Gattern (auch Cottrn) [kåtrn], amtlich Cottern (d.i. ‘[bei den] Gattern’)» — «Gattern (anche Cottrn) [kåtrn], uffic. Cottern (cioè ‘[bei den] Gattern’)» (= it. ‘[(d)ai] cancelli’).
[8] Frauendiest, Prosabrief B (Bechstein I, 181).
[9] M. Hornung 1972: 497-8.
[10] G. B. Pellegrini 1992: 235; D. Olivieri 1961: 149-50. L’associazione di Bladen con Biàdene e Valdobbiàdene si ritrova già in Francesco Pellegrini (1873); cfr. A. Peratoner 2002: 294 e A. Peratoner 2005: 285.
[11] C. Marcato 1993: 33. Cfr. Storia de Longobardi, II, 12: ad fluvium Plavem, e le diverse lezioni dei manoscritti: Plabam (A 4), Plavem (A 2, E 1 et al.), Blavem (G 5), Pladem (I 3), ecc. (Paolo Diacono 1992: 90-1; Paolo Diacono 1878: 79).
[12] C. Malaguti 2001: 38.
Peratoner rileva come Bladen sia una forma «priva di fondamento», «oggi in disuso nella stessa Sappada, dopo un periodo di alcuni lustri di fortuna nell’ultimo dopoguerra» (A. Peratoner 2002: 65, nota 35; cfr. anche M. Hornung 1972: 498).
[13] A. Peratoner 2002: 294; A. Peratoner 2005: 285.
[14] C. Malaguti 2001: 37-8.
[15] A. Peratoner 2002: 287; A. Peratoner 2005: 236.
[16] Cfr. anche C. Malaguti 2001: 39.
[17] A. Peratoner 2005: 8, 9, 11, 12, 12, 18, 20; C. Malaguti 2001: 35.
Cfr. anche http://www.plodn.info/sappada/paese.html; http://www.plodn.info/cd/borgate/entita/it/23.htm.
[18] A. Peratoner 2005: 14, 26.
Al contrario, cfr. il «per Plavim [...] super dictum flumen Plavim» (1315), di un passo della biografia del beato Enrico da Bolzano, scritta da Pier Domenico da Baone, citato in un articolo di Bartolomeo Zanenga, in G. Secco 1992: 10.
[19] Levazole va forse confrontato con il toponimo Castellavazzo (BL), attestato come Levatio nel 1161 e Levaço nel 1243 (cfr. C. Marcato, in G. Gasca Queirazza et alii 1990: 170 e http://www.archividelmediterraneo.org).
[20] M. T. Vigolo 2008: 7 (pagina del testo riprodotto nel sito http://www.pd.istc.cnr.it/).
[21] Nome anche di una frazione di San Martino in Badia (BZ), localmente Lungiarü.
[22] M. T. Vigolo, P. Barbierato 2007: 13-4 (pagina del testo riprodotto nel sito http://www.pd.istc.cnr.it/).
[23] A. Peratoner 2005: 43, 44, 61, 63 e 66, 87.
[24] Giuseppe Ciani, Storia del Popolo Cadorino, Padova, 1856 (rist. anast. Bologna, 1969), pp. 292-3, cit. in C. Malaguti 2001: 33-4.
Secondo G. B. Pellegrini — in Introduzione all'Atlante storico-linguistico-etnografico friulano (ASLEF), Istituto di glottologia dell'Università di Padova, 1972, p. 63 — Longaplave (nome attestato nel 1308, in realtà nella forma Longaplavi) si riferiva ad una borgata vicina a Sappada.
[25] A. Peratoner 2002: 295; A. Peratoner 2005: 285.
[26] Giovanni Fabbiani, Alcuni documenti riguardanti Sappada di Cadore, in «ASBFC», XXXIII, apr.-giu. 1962, p. 55.
[27] A dire il vero, nel suo libro del 1995, su Longaplave Piller Puicher asserisce “soltanto” che il toponimo Plodn (Plôdn) venne «assunto nella fase di amalgama tra le popolazioni bavaresi e carantane colà insediatesi», allo scopo di «indicare la valle di “Longaplave”» (G. Piller Puicher 1995: 15); che gli Slavi stanziatisi a Cima «diedero poi il nome di Sapadna = occidentale alla valle di Longa Plave», nella quale si stabilirono successivamente i Bavaresi; e, ancora, che Pladen = Plôdn va ricondotto a «Longa-Plave», chiamata così da Avari e Bavaresi scesi da Nord (G. Piller Puicher 1995: 26).
[28] A. Peratoner 2002: 64-5; A. Peratoner 2005: 43-4.
[29] Nelle carte geografiche sono indicate, per il paese, le seguenti forme toponimiche: Sapada (1546, 1553, 1563, 1564, 1589, 1590, 1599, 1608, 1713, 1774, 1801-1805), Spada (1573), Sappada (1620, 1780), Sapada inf., Sapada sup. (1802); per il fiume e la valle: la piave (1553), Valle di Sapada (1599), la Piave (1608), Piave f. (1620), Acqua detta la Zapada (1713), Li Sapada T. (1780), Val Spada (1802), Canal di Sapada, Piave Fi. (1801-1805). Cfr. C. Malaguti 2001: 36-8; A. Peratoner 2002: 79, 81, 83, 85, 86, 87.
[30] «Longa Plavi de Sapada, Longaplavi, Sapata de Longaplavi, oppure semplicemente Sapata» (C. Malaguti 2001: 35).
[31] Tutte le informazioni relative ai documenti sono tratte da A. Peratoner 2005.
[32] Cfr. M. Cortelazzo 2007: 1510.
[33] In C. Malaguti 2001: 39, si sostiene che la preposizione articolata zum possa valere ‘lungo il’ o ‘ai margini di’ — il che non risulta — e che Zepodn derivi dal ted. zum Boden (= ‘ai margini di un terreno coltivato’: «la borgata Cima si trova in effetti ai margini di un ampio pianoro»), attraverso gli esiti zum Podn > Zepodn, ove si riscontrano, nell’ordine, l’applicazione delle tre “regole” sopra menzionate e un passaggio ritenuto «facilmente ipotizzabile» — attraverso il quale però si procederebbe da un ted. zum, preposizione articolata attuale, a una preposizione semplice dialettale ze, derivata, a quanto pare, dallo ze medio alto tedesco (cfr. M. Hornung 1995: 457).
[34] H.-D. Pohl 2002: 39-40, nota 12, e 2010: 2, nota 8.
Serve forse qui ricordare che M. Hornung (1995: 457), nel Pladner Wörterbuch / Glossario Sappadino, alla voce tsse, tssi, dal m.a.t. ze, rileva che la variante tssi è caratteristica del sappadino parlato a Cima.
[35] Cfr. A. Peratoner 2009a: 15.
[36] A. Peratoner 2002: 65 e nota 34; A. Peratoner 2004: 168.
[37] «La romanica zappata» va corretto in «la romanza zappata».
[38] M. Toller, Sappada, eventi e uomini, Udine, 1969, Arti Grafiche Friulane, pp. 9-10.
[39] A. Peratoner 2002: 65 e nota 34.
[40] Peratoner cita G. B. Pellegrini 1990: 412 proprio nella prima riga di A. Peratoner 2002: 65, nota 34, attribuendogli (a quanto si capisce) un’adesione all’ipotesi di dipendenza di Sappada da Zepodn che quel linguista non ha certo formulato.
[41] G. B. Pellegrini 1990: 412; A. Angelini, E. Cason 1992: 28-9.
Già Maria Hornung (1995: 550) riteneva Zepodn una «forma tedeschizzata» del toponimo Sappada.
M. Hornung (1972: 523, 1995: 550) e Anton Draxl (2002: 78) trascrivono quel nome locale, rispettivamente, come tßepōdn, tssepóodn e Tsepooddn, indicando così che la -o- di Zepodn era originariamente una ā m.a.t. che in sillaba aperta è diventata una ō, secondo un cambiamento vocalico normale nel sappadino (cfr. H.-D. Pohl 2002: 61-2).
Secondo A. Peratoner, il toponimo Oberpladen «ha l’apparenza di una tarda retroversione al tedesco a partire dalla denominazione italiana» di Cima Sappada (A. Peratoner 2009c: 32). Non so se sia menzionato in qualche scritto antecedente al 1874 e 1877, anni in cui compare in due lavori di Antonio Ronzon: «Oberpladen (Cimasappada)»; cfr. A. Peratoner 2002: 298 e A. Peratoner 2005: 295.
[42] Cfr. A. Peratoner 2005: 236.
[43] L. Protto 2004: 196.
[44] Friulano comune sele, forma attestata nel 1382, 1385; cfr. http://www.dizionariofriulano.it/.
[45] «Sière sf. (Carnia) = Specie di saracinesca costruita di tronchi, tavole, sassi e rami intrecciati attraverso un torrente [...]» (G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 1040). Cfr. anche A. Peratoner 2002: 138-9.
[46] «Zetz [tsɛts] ‘Zetz’ (sulle carte anche Sesis [avviso di M. Hornung]; nome di campo, zona di pascolo): attestato nel 1505 Montem de Sesis, dial. (Comelico) Sëde [Söde]; o dal friul. siês ‘sedile’ [‘scannello posteriore del carro rustico’], o dal friul. sesis / sisis ‘recinzioni, siepi’ [friulano comune: cise (e zise)] ~ italiano antico sezzo ‘l’ultimo’ < lat. setius ‘più piccolo’; [Nota 21: «Così, con riserva, Cesco-Frare – Pellegrini 2000: 13.»] [...]» (H.-D. Pohl 2002: 43-4 e H.-D. Pohl 1210: 3-4). Cfr. anche C. Malaguti 2001: 112-5 e A. Peratoner 2002: 138.
In M. Benedetti, C. Kratter 2010 non compaiono altri prestiti dal romanzo con, in sappadino, z- iniziale, a parte la voce zimma, ritenuta d’origine italiana, ma forse da confrontarsi piuttosto col comeliano zimä (G. Zandonella Sarinuto, D. Zandonella Sarinuto 2008: 259) o con voce analoga cadorina (ẑima).
[47] La spiegazione dell’esito Sa- > Ze- mi è stata gentilmente suggerita dal professor Pohl.
[48] Cfr. G. Dolfini 1976: 75.
[49] A. Peratoner 2002: 139, 140, 142, 145. Ve ne sono altri con il plurale peidne ‘piani’.
[50] G. Piller Puicher 1997: 9, 10, 12, 17, 19.
[51] A. Peratoner 2002: 145.
[52] A. Peratoner 2005: 155-6.
[53] H.-D. Pohl 2002: 39-40 (nota 12); H.-D. Pohl 2010: 2 (nota 8).
[54] G. Piller Puicher 1997: 23.
[55] Cfr. G. Piller Puicher 1995: 5-6, 15, 26.
[56] G. Piller Puicher 1995: 5-6, 15.
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